Come correndo allegri su uno skateboard globale, milioni di giovani e giovanissimi in questi giorni sono entrati da protagonisti nel mondo. Sono fluiti come acqua limpida in ogni dove.
Si direbbe, sono entrati in politica. In realtà, vivi loro, sono entrati nelle nostre vite. Dire l’emozione è poco, il sentimento è quello del sussulto, del silenzio affettivo, dello stravolgimento. E infine della speranza, ormai nascosta sotto cumuli di polvere, residuo di macerie di esperienze sconfitte.

Finalmente una grande-piccola potenza mondiale di esseri umani, di giovani donne, di giovani uomini è entrata in scena epifanica – come fosse la prima volta, vista l’età dei partecipanti -, ad urlare: «Non c’è più tempo, o cambiamo adesso oppure sarà la barbarie. Perché la devastazione ambientale del mondo da decenni annunciata sarà peggio, molto peggio, dei precipizi dell’ultima crisi del 2008-2009, sarà peggiore della violenza delle guerre che abbiamo voluto, peggio del crollo delle Torri gemelle, peggio…

Perché la penuria di risorse prevista e l’azzeramento «necessario» delle condizioni di vita e di convivenza riproporrà, come del resto già accade, conflitti e dichiarati egoismi per un mondo sempre più all’ombra della moltiplicata e ormai incontrollabile rapina della Terra, sospesa tra ideologia della crescita e pratica dello spreco affluente.

E sotto minaccia atomica ormai, triste presagio e concreta possibilità perché sono le armi giganti a guardia delle nuove arroganti primazie nazionaliste, i sovranismi globali del nuovo spirito di potenza dei ricchi, i «felici pochi», contro gli «infelici molti». Già domina la legge del più forte e della disuguaglianza.

E il fatto che nella stessa giornata della speranza sia avvenuta la strage anti-islamica di un neonazista nell’ex posto tranquillo che era la Neozelanda, la dice lunga sulla china di degenerazioni identitarie verso le quali siamo avviati.

Così stavolta, forti d’una nuova, personale fragilità, abbiamo pensato a Il mondo salvato dai ragazzini, il poemetto di Elsa Morante, ispirato fra l’altro alla scesa in campo dei giovani negli anni Sessanta. Versi che erano già uno schiaffo alla sensibilità corrente dell’epoca e che Pier Paolo Pasolini non esitava a definire «addirittura un manifesto politico, potrei dire paradossalmente, di quella nuova sinistra che in Italia pare non poter esistere, crescere, riaffondando subito nel vecchio qualunquismo, e nel complementare moralismo», un manifesto politico scritto «con la grazia di una favola».

Abbiamo fatto il nostro tempo, ora il cambio generazionale è possibile, il privilegio della gioventù che non si fida più di noi esiste e ha la grazia di una favola. E altro che millennials, questi i secoli li saltano come nel gioco della corda: non c’è più tempo.

Dunque essere teenagers non vuol dire solo affidare il corpo e l’immagine al destino pubblicitario delle merci, e la «rete» onnivora e onnipresente non è solo lo specchio senza voce delle solitudini.

In piazza scende la fiducia e il sentire la possibilità di un nuovo ordine del mondo, schierando la vastità dei bisogni e delle domande degli «infelici molti» contro «i felici pochi» che il potere quasi ovunque alleva e protegge.

Naturalmente gli adulti che hanno devastato il pianeta sono pronti a deluderli, eppure con loro l’innocenza torna come nuova categoria politica emergente: «Ma gli angeli, dopo tutto, sono pure dei ragazzetti/ anzi più allegri, in quanto angeli, di tutti i ragazzetti possibili».