Introduction di Hong Sangsoo, in competizione ufficiale, è un piccolo lungometraggio di solo un’ora. È girato in digitale e diffuso in un bianco e nero leggermente sovraesposto e non particolarmente accogliente. Il film è diviso in tre parti, tre episodi che si succedono cronologicamente nella vita di una coppia. Nel primo un ragazzo va a trovare il padre dottore che non vede da anni. Mentre la fidanzata lo aspetta ad un bar, lui fa anticamera nell’ambulatorio. La prima scena del film è proprio con il padre che le mani giunte e la testa china implora davanti al computer un enigmatico: «Dio, dio perché l’ho fatto?».

COS’È che il padre ha fatto e che ora rimpiange? E perché non vuol vedere suo figlio e lo fa aspettare sperando forse che se ne vada? Il resto del film non chiarisce completamente l’enigma di questa strana preghiera. Al contrario, gli episodi accumulano intrecci tra i personaggi senza veramente sbrogliarli ma lasciandoli in sospeso. Un attore famoso, che è venuto a visitare anche lui il dottore, si scopre essere l’amante della madre del ragazzo. La fidanzata che nel primo episodio lasciamo al bar, nel secondo decide di andare a studiare in Germania. E nell’ultimo, che ha luogo in una località balneare in Corea, il ragazzo ritrova la madre e l’attore, per discutere del proprio avvenire.

Il tono dei tre episodi è monocorde. Tutti e tre sono sottotono sia dal lato del dramma sia da quello della commedia. Fa da sfondo altrettanto grigio una situazione sociale incerta nella quale Hong Sangsoo fa muovere una gioventù senza appetito. La ragazza va a studiare moda in Germania. Ma non sembra particolarmente motivata. Ignora il nome d’un famoso stilista. E quando l’amica che la ospita le chiede come mai abbia scelto proprio quella formazione, lei si limita a rispondere che da piccola le piaceva giocare con i vestiti. Un po’ poco per lanciarsi in un mestiere ultra competitivo come la moda.

DAL CANTO SUO, il ragazzo vorrebbe seguirla a Berlino, senza altro progetto che quello di andarle dietro. E quando lo ritroviamo anni dopo nel terzo episodio, veniamo a sapere che si era infine arreso all’idea di restare in Corea per diventare attore, apparentemente perché gli era stato detto che un ragazzo bello ed alto come lui avrebbe dovuto darsi al cinema. Avrà carriera breve. Alla prima occasione, rifiuterà di baciare un’altra attrice, perché l’idea di recitare un sentimento senza viverlo gli pare immorale. Nella vita vera, del resto, non lo si vede mai baciare la propria compagna, ma solo abbracciarla con fare goffo.

NESSUN DRAMMA vero e proprio in tutto questo. Ma piuttosto un’aria pesante, e l’impressione d’una gioventù senza prospettiva. Nei postumi d’un pranzo abbondantemente innaffiato di alcol, come ce n’è in quasi tutti i film di Hong Sangsoo, il ragazzo ritrova la sua oramai ex compagna su una spiaggia. Lei ha praticamente perso la vista. Lui la consola e ripartono insieme. L’unica prospettiva sembra quella di ritrovarsi nella malattia. Anche se si tratta solo di un sogno.

Nessuno di questi temi è veramente nuovo per il regista. E i tre episodi sono uno ad uno tre pillole esemplari del suo cinema, che si muove sempre tra la grande città, la piccola località balneare, o la capitale europea. Quello che stupisce è piuttosto la tonalità sommessa del film. Hong Sangsoo dipinge la depressione di questi tempi guardandosi dal cercarne una causa. Come il dottore con cui si apre il film, che ad una paziente che vorrebbe cercare di capire perché sta male, suggerisce maldestramente di non mangiare cibi freddi e di bere della tisana, il cinema di HSS non ha ricette o medicine da amministrare, né una vera e propria diagnosi del male che affligge il presente ma piuttosto l’anamnesi d’un malato che non riesce più a scorgere i colori della vita.