Premio della giuria a Cannes 2015, The Lobster di Yorgos Lanthimos era stato dato da subito tra i favoriti: il suo humour nero, si diceva, avrebbe sicuramente colpito i fratelli Coen, quest’anno presidenti della giuria. Se ad accomunare i registi c’è anche un certo gusto per il grottesco, molto più accentuato nel giovane filmmaker greco, le analogie però finiscono qui. È molto più facile rintracciare un percorso fatto di temi e prospettive ricorrenti nella filmografia dello stesso Lanthimos, che negli anni ha costruito «un universo fatto di situazioni, dice, spinte fino all’estremo, in cui si piegano le regole e si creano mondi ’altri’». Dalla famiglia di reclusi di Kynodontas – premio Un Certain Regard nel 2009 – alle impersonificazioni dei defunti in Alps – premio Osella a Venezia per la migliore sceneggiatura nel 2011 – fino appunto a The Lobster ( nelle nostre sale domani col titolo L’aragosta), in cui veniamo trasportati in una società, spiega Lanthimos, «regolata da leggi diverse dalle nostre».

«Ci sono alcuni che si conformano a queste leggi e altri che vi si oppongono,ma in fondo i problemi che si presentano in questo cosiddetto mondo parallelo ,riguardano anche il nostro». L’aragosta del titolo è ciò in cui chiede di essere trasformato il protagonista – un uomo di mezza età interpretato da Colin Farrell che per l’occasione sveste i panni del sex symbol e indossa una pancetta – se dovesse fallire nell’obiettvo principale posto da questo distopico mondo alternativo: fomare una coppia. In The Lobster, i single vengono infatti portati in un albergo dove hanno un tempo limitato per trovare l’amore. Se falliscono saranno tramutati in un animale a loro scelta.

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Nei boschi tutto intorno vivono invece i single fuggiti dall’hotel, organizzati in una forma di resistenza in cui vige la legge opposta: quella di non innamorarsi mai. «Il mio film esplora le relazioni, ma soprattutto l’amore. Esiste il vero amore? E come si fa a riconoscerlo, o a sapere come trovarlo?».

Grottesco, umorismo nero e crudeltà caratterizzano l’ universo di The Lobster, e Lanthimos tra le sue influenze cita Bunuel: «uno dei registi che amo di più insieme a Bresson e Kubrick». Ma soprattutto nel suo lavoro il regista greco mette al centro la la manipolazione del linguaggio, «un aspetto essenziale della vita in quanto mezzo di comunicazione» dice.
Se nella famiglia di Kynodontas le parole sono usate per indicare cose diverse rispetto alla loro accezione «normale» in The Lobster le persone possono diventare animali. «L’uso che faccio del linguaggio risponde all’idea che delle realtà diverse si possono esplorare in maniera più complessa e profonda rispetto all’esperienza quotidiana».

Delle realtà che sono sempre spietate e, appunto, distopiche in quanto «un mondo perfetto sarebbe meno interessante da raccontare. Sono molto più rivelatrici le cose che non funzionano. Con i miei film voglio sollevare delle domande, sul nostro modo di comunicare, su come siamo stati educati, su come la nostra società è organizzata».

Un altro aspetto ricorrente del suo lavoro è la recitazione straniata e straniante, in cui gli attori sembrano al contempo dentro e fuori i loro personaggi: «Mi piace che gli interpreti siano molto diretti, che non facciano niente di particolarmente elaborato», spiega il regista, che con The Lobster per la prima volta a lavora con un cast e una produzione internazionali (insieme a Colin Farrell ci sono Rachel Weisz, John C. Reilly e Lèa Seydoux, insieme alla magnifica Ariane Labed, moglie del regista). «Non avendo mai lavorato insieme a loro in principio ero preoccupato e non sapevo cosa aspettarmi – racconta Lanthimos – Appena abbiamo iniziato a girare è stato subito chiaro il loro interesse e la loro dedizione verso il materiale che gli avevo sottoposto, per cui era come essere con i miei amici in Grecia. L’aspetto produttivo è stato più complesso perché avevamo un budget più alto e di provenienza internazionale, e per me ha significato meno flessibilità rispetto a quando giravo con i miei collaboratori abituali, con cui potevo fare quello che volevo.»

Ad oggi Lanthimos vive lontano dalla Grecia da circa quattro anni, e non prevede di tornarci a breve. I suoi progetti futuri saranno anch’essi realizzate all’estero. «Al momento – dice il regista – stiamo lavorando a due nuovi film: uno inglese in costume che si svolge ai tempi del regno della regina Anna e poi un thriller psicologico sovrannaturale». Il processo di scrittura avviene però sempre a stretto contatto con l’amico Efthymis Filippou: «Si comincia parlando di temi e di situazioni molto astratti. Poi una volta che nasce un’idea cerchiamo di costruirle intorno una struttura, una storia che ci dia il modo di esplorarla».