Ogni settimana il fecondo quanto apocalittico mercato editoriale italiano partorisce nuovi libri dedicati al tema alberi/boschi/vegetali/piante: ciascuna parola invero occupa un’estensione semantica che non coincide esattamente con le altre. In questa follia arborea che pare inarrestabile e addirittura crescente spicca ogni tanto qualche rarità, come è il caso de La vita delle piante. Metafisica della mescolanza di Emanuele Coccia, saggio pubblicato da Il Mulino.

Coccia è un non più giovane professore associato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, con alle spalle altri titoli quali La vita sensibile e Il bene nelle cose, sempre editi da Il Mulino. Il viaggio nei recessi dei significati e dei sensi Coccia lo modella su tre punti cardinali: le radici, le foglie, i fiori. Questi sono i tre poli lungo i quali semina, o meglio dissemina, i suoi ragionamenti, le sue colte astrazioni, ma anche i suoi giochi linguistici, perché se La vita delle piante ha un valore non è semplicemente riposto nelle conoscenze scientifiche, che nell’autore sono ben esibite, ma anzitutto nel godimento linguistico, nello stile del ragionare e dello scrivere. È già questo è notevole rispetto a tante altre pubblicazioni di professori ed esperti che troppo spesso preferiscono l’illustrazione dei dati e dei nomi alle arti della retorica e dell’espressione poetica, visuale, visiva, e magari visionaria.

Coccia ci informa che «il nostro mondo è un fatto vegetale, prima che essere un fatto animale» (pag. 18), poiché il 90% della massa eucariotica del pianeta, ovvero di quella vita visibile di cui facciamo parte (i regni animali, funghi, piante, eccetera) è composta da piante superiori. Coccia passa dal riflettere sulla possanza del movimento del respiro di cui tutto il vivente è «articolazione» (pag. 76), al donarsi completamente al mondo, «le piante si aprono al mondo e si fondono in lui» (pag. 57), alla prepotenza della mescolanza – «Tutto è in tutto, perché nel mondo tutto deve poter circolare, trasmettersi, tradursi Tutto nel mondo produce la mescolanza e si produce nella mescolanza» (pag. 91).

Ma ecco come descrive la capacità rigenerativa delle piante: «Le piante non cessano di svilupparsi e di accrescersi, ma, soprattutto, di costruire nuovi organi e nuove parti del corpo di cui sono state private o di cui si sono sbarazzate. Il loro corpo è un’inarrestabile fabbrica morfogenetica. Il loro non è mai un corpo definitivamente dato, ma un atto costante di bricolage somatico» (pag. 24), esse inventano, s’inventano di giorno in giorno, di stagione in stagione. E basti pensare ad uno di quei vetusti castagneti dimenticati del nostro Appennino, dove si possono incontrare così tante diverse morfologie applicate alla stessa specie, o, ancora più evidente, nei grove di sequoia e pinus longeava in California.

Il capitolo 11, il più profondo, sono gli astri, è dedicato a come le radici respirino nella terra, esse consentono «al sole – e alla vita – di penetrare fino al midollo del pianeta, di riportare l’influenza del sole fino ai suoi strati più profondi, di infiltrare il corpo trasformato della stella che ci genera fino al centro della terra». Una discesa verticale che ci piace assai, se chiudiamo gli occhi forse riusciamo ad immaginarne la fatica, la dedizione, il rumore.