Molti filosofi hanno «dato l’addio» a Kant, ringraziandolo per quanto offerto alla riflessione filosofica ma ritenendo ormai esaurita la forza propulsiva del criticismo. E invece per Fabio Minazzi Kant rimane un «punto di riferimento privilegiato», anche tramite la mediazione di «alcuni dei più eminenti epistemologi e filosofi della tradizione del neoilluminismo italiano» (Epistemologia storico-evolutiva e neo-realismo logico, Olschki, pp. 571, euro 38).

SUL FONDAMENTO di questa costellazione teoretica, Minazzi costruisce una epistemologia storico-evolutiva, che cerca di ripensare il realismo empirico e le sue ingenuità alla luce del neo-realismo logico che dalla tradizione medioevale arriva a un pensatore originale come Giulio Preti.
Proposta che trova i propri momenti chiave nella concezione che del lavoro scientifico ebbero Galilei e Einstein. Del primo viene posta in evidenza la libertà dalla «sindrome metodologica» di cui è stata vittima gran parte della filosofia postcartesiana. Galilei si pone infatti al di là dei conflitti metodologici e al di là della stessa necessità di un metodo scientifico che valga una volta per tutte, in qualunque circostanza e per qualsivoglia problema, cercando invece di coniugare di volta in volta e in relazione al contesto di ricerca le «sensate esperienze» e le «matematiche dimostrazioni».

Einstein e la sua epistemologia stanno al centro del libro già a partire dall’immagine di copertina, che riproduce un disegno che Einstein inviò il 7 maggio 1952 a Maurice Solovine e nel quale Minazzi vede delineata con chiarezza una «immagine ideale della scienza».
Una linea orizzontale E indica il mondo della vita, l’esperienza immediata e ordinaria nella quale ciascuno di noi, scienziati ed epistemologi compresi, è immerso. Sopra questa linea si trova un punto A che rappresenta il luogo degli assiomi astratti della logica e della matematica.

NEL MEZZO si susseguono le conseguenze specifiche che si deducono dal polo matematico: «S S’ S’’». L’elemento interessante del disegno è che tra la linea dell’esperienza ordinaria e quella degli assiomi astratti non si dà un percorso diretto.
Anche le conseguenze dei principi generali sono staccate dal mondo della vita, fluttuando in una dimensione che indica il carattere intuitivo e creativo del lavoro scientifico. Il «disegno tracciato dal tardo Einstein vuole dunque esprimere la natura complessiva della scienza e giustamente Einstein sottolinea che ‘l’aspetto essenziale è qui il legame, eternamente problematico, fra il mondo delle idee e ciò che può essere sperimentato’».
Siamo dunque lontani da ogni forma di riduzionismo che pretende di ricondurre ed esaurire la vita e la scienza in alcuni «algoritmi di calcolo».

E siamo a un livello di consapevolezza critica che cerca di oltrepassare due altri pericoli. Il primo è il rischio di separare tanto nettamente la scienza dall’esperienza da rendere la prima un arido gioco di formule eleganti ma vuote, la seconda un coacervo di fatti irrelati l’uno rispetto all’altro e alla fine incomprensibili.
Le teorie scientifiche, in particolare quelle della fisica e della cosmologia, appaiono ormai separate da ogni legame con la verità ontologica e rinunciano a conoscere il mondo come è fatto, accontentandosi di descriverlo a partire da un linguaggio puramente formale, al quale non è necessario che corrisponda qualcosa nella ‘realtà’. È quanto accaduto tra Otto e Novecento. Una separazione che è ormai necessario ricomporre.

ALLO STESSO MODO è necessario ricomporre la frattura tra le due culture – cosiddette «scientifica» e «umanistica» – poiché non è possibile collocare «la scienza in un improbabile orizzonte acronico». Proprio perché radicata nella storia e nella vita l’epistemologia storico-evoluzionistica «può aiutare, in modo assai fecondo, lo scienziato a superare le sclerosi dogmatiche che spesso accompagnano una teoria scientifica». Il denso e imponente volume mostra dunque l’insostenibilità di ogni positivismo e riduzionismo poiché il mondo è più complesso di qualunque formula matematica e teoria scientifica. E anche questo apre lo spazio a ciò che Husserl, spesso discusso in queste pagine, definì «una metafisica seriamente scientifica».