L’analisi della realtà sociale e politica svolta da Frantz Fanon è uno strumento per la liberazione, i cui protagonisti sono le donne e gli uomini oppressi dai rapporti coloniali, razziali, sessisti e di classe.
Fanon ha realizzato l’osservazione di un’oppressione profonda, che arriva fino all’intimità dei corpi, fino alla psiche, attraverso la violenza coloniale, e che, pertanto, annuncia la necessità di un processo altrettanto profondo di liberazione culturale e politica, attraverso nuovi rapporti di forza su scala mondiale.

È QUESTA una delle attualità della proposta di Fanon, attuale quanto lo sono i rapporti (neo)coloniali e quelli gerarchici pieni di dominio razziale e di genere, come è palese nelle relazioni tra Occidente e Africa e come è chiaro nelle politiche europee contro la mobilità spaziale delle persone migranti, resa giorno dopo giorno sempre più difficile e, quindi, pericolosa. L’attualità di Fanon si ritrova, d’altronde, nel suo stesso modo di fare analisi sociale, psichica e politica, forzando le categorie interpretative, secondo un metodo che non intende rinunciare a utilizzare i linguaggi della liberazione costruiti nell’esperienza europea, in particolare quelli elaborati all’interno della storia del marxismo e dei movimenti operai, impiegandoli, però, da uno specifico punto di vista, quello dei colonizzati.
Questa «forza dislocante» è al centro del libro Soggettività antagoniste. Frantz Fanon e la critica postcoloniale (pp. 308, euro 20), pagine intense che si leggono senza sosta, ricche di riferimenti filosofici e storici, pubblicato per Meltemi da Sandro Luce, dottore di ricerca in Etica e filosofia politico-giuridica presso l’Università di Salerno.

LA CAPACITÀ di usare le categorie interpretandole in maniera differente, come mostrato nella prima parte del testo («Fanon alla prova della modernità»), apre inedite e impreviste possibilità di lettura del presente.
In questa prima parte, fatta di quattro capitoli, una delle tematiche centrali è quella del razzismo, del divenire negro, della critica agli essenzialismi. Fanon evidenzia come il razzismo produca un mondo diviso in due tra esseri umani della zona dell’essere ed essere umani della zona del non essere, in modo analogo alla situazione coloniale, in cui a contrapporsi erano il colono e il colonizzato, il dominatore e il dominato, il soggetto civilizzato e l’oggetto da civilizzare.
È una realtà non conclusa, quella razziale, come è evidente nella cronaca quotidiana, così come non lo è quella coloniale. Nella seconda parte del testo («Posizionamenti postcoloniali»),
Sandro Luce presenta Fanon proprio sotto questa luce, come macchina teorica e politica produttrice di uno studio anticipatore del mondo post-coloniale. I sette capitoli della seconda parte muovono, del resto, dal contenuto problematico di quest’ultimo termine. Esso viene chiarito rinviando al suo significato metaforico, che parla di una realtà coloniale nel suo «post», cioè in un nuovo contesto determinato dalle lotte anticoloniali così come dai processi del capitalismo globale.

SONO LE ANALISI consolidate di Stuart Hall e le più recenti interpretazioni di Miguel Mellino, Sandro Mezzadra e altri e altre ad aiutare a chiarire la persistenza delle «conseguenze del colonialismo», dunque «di relazioni di dipendenza di matrice coloniale», insieme all’indebolimento dei paradigmi teorici e politici del periodo coloniale, non più adeguati agli spostamenti (déplacement) che nel tempo si sono realizzati. L’attualità della situazione coloniale, in un contesto sul piano formale non più coloniale, attraversato da potenti processi decoloniali oltre che neoimperiali, rende ancora più attuale l’analisi dei contributi di Fanon. La liberazione dalla colonia è ancora necessaria ma, contemporaneamente, è già storia.
La rottura della linearità temporale, degli approcci storicisti, messa a punto da Michel Foucault, importante presenza in questo libro, è necessaria per comprendere come si realizza la liberazione in un mondo in cui ad essere protagonisti sono figure dissonanti «come quelle del migrante, del rifugiato e di tutti quei ‘nuovi oppressi’ che costituiscono la testimonianza di come il colonialismo, sebbene sia cessato come fenomeno politico, persiste nell’odierno scenario globalizzato, perpetuandosi in tutti quei luoghi nei quali si riproducono relazioni di dominio e sfruttamento».