Non si placano le polemiche in Egitto per le condanne a morte di quasi 700 sostenitori della Fratellanza. «È una vergogna per il mondo intero», con queste parole il ministero degli Esteri turco ha commentato la sentenza. L’Iran ha avvertito che le condanne di massa destabilizzeranno il paese. Anche l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay ha condannato la sentenza, definendola «scioccante e oltraggiosa».

«La Corte egiziana ha completamente distrutto la propria credibilità», ha aggiunto Hassiba Sahraoui di Amnesty International. Timidi rimproveri arrivano anche dagli Stati uniti. Eppure, pochi giorni fa, il Pentagono aveva annunciato la consegna di 10 elicotteri apache aprendo alla rimozione del congelamento di parte degli aiuti militari (pari a 1,3 miliardi di dollari l’anno), deciso dagli Stati uniti dopo il colpo di stato del 3 luglio scorso. Lo ha comunicato il Segretario di Stato Usa, John Kerry, in una telefonata al suo omologo, Nabil Fahmi, che è volato a Washington per suggellare il passo statunitense.

Inoltre, è emerso ieri che la sentenza della Corte per gli affari urgenti che ha vietato le attività del movimento 6 Aprile si basa su intercettazioni che rivelerebbero finanziamenti dall’estero al gruppo (nato nel 2008 a sostegno degli scioperi). «Il presidente ad interim ha trasformato la Corte per gli Affari urgenti in un ufficio della Sicurezza di Stato», ha detto al manifesto Adly Malek del Centro per i diritti economici e sociali del comunista Khaled Ali. Proprio la diffusione di intercettazioni ambientali è tra le prove addotte dall’accusa anche nel processo contro l’ex presidente Mohammed Morsi.

Ai Fratelli musulmani viene rimproverato il tentativo di formare un’Intelligence parallela, per stigmatizzare l’operato del movimento. Esercito e giudici puntano così tanto sulla denigrazione della Fratellanza da essere pronti a diffondere un inedito odio verso l’Islam e presentare l’Egitto come il «paese delle vacanze» insistendo nei poster pubblicitari urbani sulla bellezza delle immagini di piramidi e palazzi del centro storico del Cairo, come se l’identità islamica non fosse altrettanto centrale per il paese.

Esercito e giudici svuotano il pluralismo politico, conquistato con i mille morti di piazza Tahrir, mettendo al bando i maggiori partiti di opposizione e censurando la stampa. Lunedì la televisione del Qatar al Jazeera ha chiesto allo stato egiziano un risarcimento di 150 milioni di dollari, in seguito alle minacce subite dal personale, alla chiusura di canali locali e all’arresto di quattro giornalisti.

Infine, l’esercito ha risposto alla messa al bando di 6 aprile, riproponendo la formazione di un movimento politico giovanile sulle ceneri di Tamarrod (ribelli), il gruppo che ha permesso il colpo di stato organizzando la manifestazione contro Morsi del 30 giugno 2013. Eppure cresce il movimento contro la legge che vieta le proteste non autorizzate. Lo scorso sabato migliaia di persone hanno marciato verso il palazzo presidenziale di Heliopolis per chiedere il rilascio dei detenuti politici che hanno violato la norma.