L’idea era quella di esplorare le vite degli antenati, dopo il nuovo millennio di Heimat 3, per provare a guardare ilmondo col battito del loro cuore. Così Edgar Reitz ha presentato Die Andere Heimat, divenuto subito l’appuntamento cult del festival – un rimprovero a Barbera è averlo un po’ sacrificato nella collocazione – con persone sbarcate al Lido solo per questo magnifico film del regista tedesco.

La storia. Nella Germania del XIX secolo devastata da guerre, carestie, epidemie, chi può fugge. La meta sognata dai migranti è l’America del sud, il Brasile, che gli imbonitori raccontano come la terra delle meraviglie, dell’abbondanza, dove non avranno più stenti e saranno felici. Jakob, il figlio adolescente del fabbro di un povero villaggio, ha una sola passione: leggere. E lo fa di nascosto al padre che vorrebbe lavorasse il ferro, i campi come gli altri che, urla al ragazzo, si spaccano le ossa per dargli da mangiare. Lui invece quando può si tuffa nei libri che l’anziano zio avventuriero, oggi malato, gli passa di nascosto. Jakob ha il dono speciale di imparare subito ogni lingua, e si concentra sullo studio di quella degli indios brasiliani per comunicare una volta nella giungla. Anche lui infatti vuole partire, e fantastica su quei luoghi lontani di cui sa tutto come se li avesse visti. Il fratello, Gustav, è completamente diverso da lui, prediletto dal genitore, mentre Jakob è difeso dalla madre, ha fatto il soldato e sarà fabbro. Jakob incontra Henriette e se ne innamora ma sarà Gustav a farci l’amore una notte di ubriachezza e a concepire un figlio con lei …

Reitz ha detto, parlando di questo lavoro, che l’aspetto più sorprendente è stato per lui osservare come, soltanto 160 anni fa, vivevano le persone in Germania, le loro condizioni erano impensabili oggi in qualsiasi parte del mondo. Magari no, ma certo quella Germania di miseria feroce, e di fughe di massa perché come ripetono i personaggi ovunque è meglio che morire di fame, non si può non pensare alle economie moderne, e al meccanismo di strangolamento che proprio la politica tedesca garantisce nel sistema finanziario mondiale. Quello che è, come tutti gli Heimat, un romanzo di formazione, e in bianco e nero, permette a Reitz di sperimentare una possibile rilettura della Storia. E insieme di una certa idea della «serialità» nell’immaginario, completamente rovesciata rispetto ai modelli abituali. L’incedere dei fatti, con crescendo tragico, ha il respiro delle grandi opere letterarie, nelle quali all’interno di un microcosmo umano, quasi un archetipo, prende forma l’intera gamma della condizione umana; il confronto con il caso e con i fatti di una storia che la risucchia, la resistenza e il destino che va in senso contrario alle proprie aspettative.

Die Andere Heimat – il cui sottotitolo è Cronik einer Sehnsucht, Cronaca di una visione, è un film sugli antipodi, sul mondo alla rovescia, sulla dialettica tra realtà immaginata e realtà vissuta (in qualche modo tra fiction e non fiction infinitamente capovolta). Da una parte c’è la Germania stremata di morte e malattie, dall’altra il Brasile, nella «visione» di Jakob e di molti altri, l’altrove, esotico nei racconti di chi lo vende, ma soprattutto il solo modo per essere felici. Da una parte dello specchio il protagonista si prepara come Alice a varcare quella soglia, che rimarrà però tale. Nella vita alla rovescia, dall’altra parte andrà chi invece era previsto rimanere di qua, e insieme alla donna con cui voleva partire lui. Il solo spazio di libertà, in cui continuare a esplorare il suo altrove, che resta a Jakob, è quello della lingua straniera, dei suoni sconosciuti che pian piano decifra. Ma non è questo di un antipodo possibile anche lo spazio dell’immaginario? E questo film struggente, e appassionante come un viaggio infinito, ci dice soprattutto di un gesto d’amore. Al cinema e alle sue infinite (ancora) possibilità.