C’è solo un cartello a segnalare che stiamo per abbandonare la Russia ed entrare in Bielorussia. Niente dogane, niente controlli passaporto, né bandiere nazionali. Ma appena entrati nel piccolo paese slavo il panorama cambia radicalmente. Le dacie e le piccole fattorie immerse nel verde e costeggiate da laghetti artificiali ricordano più l’Irlanda che un paese slavo. «Producono latticini e formaggi da esportare in Russia» ci dice Vlad, l’autista del pulmino che ci scorta verso Minsk. Sono le piccole farm cresciute come funghi in tutta la Bielorussia dopo che Putin dal 2014 ha introdotto l’embargo dei prodotti agricoli dell’Unione europea.

In queste piccole aziende, si producono mozzarelle e «parmesan» discutibili quanto si vuole, ma che stanno facendo la fortuna di tante aziende casearie del Paese, quasi tutte ancora statali. Sì perché nella Bielorussia di Alexander Lukashenko, il presidente padre-padrone che governa ininterrottamente il paese dal 2004, l’80% delle aziende sono ancora controllati dallo Stato. L’ Economist ha definito il paese slavo la «Cuba d’Europa», ma a Minsk non sembrano preoccuparsene. Del resto i paesi ex-sovietici che hanno in questi anni seguito le ricette liberiste come la Moldavia e l’Ucraina sono sprofondati nel caos economico e sociale.

I «FONDAMENTALI» economici della Bielorussia fanno gridare al miracolo: dal 1994 ad oggi l’economia è cresciuta in media del 5% e per 4 anni ha superato il 10%. Dal 2015 quando la Russia è entrata in stagnazione Putin è stato costretto a tagliare i sussidi a Minsk le cose non sono andate più tanto bene, ma già nel 2017 l’economia è ripartita e quest’anno crescerà del 2%. Il reddito medio a parità di potere d’acquisto è di 18mila dollari l’anno, la disoccupazione è al 0,5%. Anche i conti sembrano in perfetto ordine: il rapporto tra debito e Pil è sotto il 50% e il debito estero – in primo luogo verso la Russia e il Fondo Monetario Internazionale – non fa perdere i sonni al governo.

LA SERA nella capitale non si respira la leggiadria moscovita della capitale russa. Pochi locali aperti. Nei casinò soprattutto russi con pesanti catene d’oro al collo e ragazze locali sedute sulle loro ginocchia: sperperano qui i loro dollari da quando Putin ha vietato il gioco d’azzardo su tutto il territorio della Federazione russa.

NATALYA, ha 27 anni e lavora alla Horizon. «È una azienda famosa, – mi dice con una punta di orgoglio – ci ha lavorato per due anni anche Lee Oswald», il presunto assassino di John F. Kennedy. Dopo aver chiesto l’asilo politico a Mosca nel 1960 restò a Minsk fino al 1962 e lavorò in questa fabbrica. La Horizon oggi produce tv e componenti elettronici e impiega 7mila operai. Natalya è iscritta da qualche mese al sindacato, una scelta coraggiosa per cui rischia ogni giorno di pagarne le conseguenze. È dura la vita dei sindacati da queste parti. La loro attività è punteggiata da denunce, arresti e perquisizioni di sedi. Ihar Komlik tesoriere del sindacato dell’industria elettronica è stato arrestato qualche mese fa: «Siamo stati accusati di evasione fiscale, una accusa ridicola, e sono stato rilasciato solo dopo aver dichiarato che in attesa del processo non lascerò il paese» dichiara.

NELLA PRIMAVERA del 2016 si è sviluppato un movimento di protesta contro quella che è stata denominata la «tassa sul parassitismo». Secondo lo Stato ben 500mila bielorussi avrebbero dovuto rimborsare un equivalente di 230 dollari – in un paese dove i salari medi non superano i 350 – per aver usufruito dei servizi sociali senza pagarli, dato che si trovano in disoccupazione. Una pretesa bizzarra che puntava a impiegare nelle aziende di Stato chi sta a casa per scelta o far pagare le tasse a chi lavora nell’economia sommersa.

IL SISTEMA politico bielorusso è un «Vietnam» costruito ad arte da Lukashenko. Dal 1994 vince le elezioni presidenziali con percentuali vicine all’80%. Dopo il voto del 2010 segnato da brogli e dalla morte di circostanze mai chiarite di uno dei candidati, si tennero grandi manifestazioni a Minsk che si conclusero con 700 arresti. Da allora la Ue ha vietato l’ingresso di Lukashenko nei paesi dell’Unione e ha ritirato le rappresentanze diplomatiche.

IL PARLAMENTO è sottoposto al controllo ferreo dal presidente in carica. Lukashenko non ha mai formato un proprio partito ma governa con il voto di un gruppo di deputati «indipendenti» a lui fedeli e al locale Partito comunista. Negli ultimi anni le forze di opposizione hanno formato un «fronte democratico» che raccoglie gli «eurocomunisti» di «Un Mondo Giusto», i partiti cristiani, il Partito socialista ucraino e i Verdi. «In Bielorussia esiste una questione democratica drammatica e ciò ha spinto forze politiche molto diverse tra loro ad allearsi» afferma il leader di «Un Mondo Giusto» Sergey Kalyakin. Ma non solo. Esiste anche una gigantesca questione di diritti umani violati. La Bielorussia è l’unico paese in Europa in cui vige ancora la pena di morte: nel 2016 sono state eseguite due condanne capitali. «Il Paese ha urgente bisogno di investimenti stranieri ma l’Unione europea ha affermato che fino a quando i più elementari diritti umani non verranno rispettati, le imprese Ue non investiranno» sottolinea Alexader Obuchovich, redattore di Belgazeta, uno dei pochi giornali di Minsk vicino all’opposizione. «Forse per questo Lukashenko è destinato a restare l’alleato più stretto di Putin» conclude il giornalista.