Le mele annurche: ci penso con insistenza mentre attraverso in macchina la Valle Caudina. Un cittadino come me le mangia, ma quasi mai conosce la cura che serve per farle venir su così bene: dopo la raccolta, il frutto ha bisogno di un periodo di “arrossamento”, durante il quale viene posto sui melai, i graticci di paglia nei quali le mele sono disposte su file esponendo alla luce la parte meno arrossata. La mela annurca è la regina delle mele, l’unica originaria dell’Italia meridionale, ed ha una delle sue località di eccellenza produttiva ad Airola, in provincia di Benevento. È singolare: devo raccontare di un progetto industriale innovativo, che dovrebbe ridare slancio a un’area produttiva martoriata da investimenti sbagliati – o malintenzionati – e mi viene di pensare alle mele. Dovrei scrivere di fibra di carbonio e ho in mente la buccia irregolare delle annurche. Poi mi fermo e scopro il trait d’union. Il tratto che unisce, paradossalmente, è un buco, una mancanza. La distanza tra un’agricoltura d’eccellenza che per anni ha rappresentato una delle fonti di ricchezza di questo territorio e un’industria dequalificata, scarsamente innovativa, vittima di investimenti sbagliati o addirittura malintenzionati. Con poche eccezioni, ma molto in là nel tempo, per esempio la Aermacchi e la Caproni, le due glorie dell’industria aeronautica italiana celebrate da Luciano Gallino nell’imperdibile La scomparsa dell’Italia industriale.
Se tutto andrà per il verso giusto, questa distanza sarà almeno in parte ridotta. Dal prossimo gennaio inizierà la sua attività nell’area industriale di Airola la Adler, azienda leader mondiale nelle produzioni in fibra di carbonio industrializzata, il materiale su cui tutti scommettono per il futuro. Sicuro, ultra-leggero, resistentissimo anche agli effetti degli agenti chimici: lo stesso con cui si costruiscono le scocche delle automobili, le biciclette più competitive, le mascherine che indossano i calciatori dopo qualche colpo proibito alla testa, aerei, i pali del telefono, i nuovi treni eccetera eccetera. Proprio la Adler si è aggiudicata la fabbricazione del telaio in fibra di carbonio della coupé 4C dell’Alfa Romeo, il nuovo Duetto, e punta nel futuro a crescere ancora: il sito di Airola dovrebbe diventare il leader nazionale dei “compositi” di questo tipo. Ma la cosa interessante è che a questo esito, che dovrebbe salvare i 400 addetti in cassa integrazione da anni delle aziende Tessival e Benfil, e creare occupazione aggiuntiva per altre 100 persone, ci si è arrivati dal basso, con una sinergia in cui tutti (lavoratori, sindacati, impresa e istituzioni) hanno fatto la propria parte.
Facciamo un passo indietro. Ad Airola nel 1999 fu firmato uno dei primi contratti d’area che doveva portare soluzioni a un’area devastata, dal punto di vista occupazionale, dalla chiusura di Alfa Cavi che impiegava 700 persone, ma che si assestò su produzioni che già allora si potevano intuire obsolete: un tessile a basso valore aggiunto, dunque destinato a soccombere negli scenari competitivi globali. Così i 300 miliardi di vecchie lire del contratto d’area, che attirarono in particolare Tessival e Benfil, produssero ben poco (per i lavoratori, è ovvio). Le lavorazioni partirono nel 2004, ma durarono non più di quattro anni; seguì altra cassa integrazione per tutti – che dura tuttora – con naturale e ulteriore esborso di denaro pubblico.
Che fare, dunque? «Era chiaro – racconta Tonino Aprea, segretario generale della Camera del lavoro di Benevento – che la soluzione non poteva essere cercata ancora nel tessile e che occorreva cogliere l’occasione per uscire dalla crisi con una spinta innovativa. Con Cisl e Uil abbiamo pensato di lanciare un’iniziativa dal basso, raccogliendo in un protocollo tutti i soggetti dello sviluppo locale: sindacati, Provincia, Comune di Airola e imprenditori. Poi è arrivata anche la Regione e infine siamo andati al ministero dello Sviluppo economico. In un anno circa abbiamo chiuso il protocollo. L’obiettivo per noi è di dare una prospettiva di lavoro non solo ai 400 addetti Tessival e Benfil, ma anche a tutti gli altri coinvolti dalla crisi dell’area». La Adler di Paolo Scudieri s’è impegnata a investire nei prossimi mesi 14 milioni di euro; La Regione, con un bando del 2011 per automotive e avio, dovrebbe mettere a disposizione circa 30 milioni di euro. Infine la scorsa settimana è stata firmato un altro protocollo che dovrebbe portare nell’area altre 42 aziende, nei settori avio e agroindustria di qualità. Anche qui dovrebbero arrivare dalla Regione circa 30 milioni di euro.
È il Sud che aiuta il Sud. Il modello Airola non sarebbe un modello, se il nostro fosse un paese come gli altri. Sarebbe la normalità: ognuno fa la sua parte. La Provincia ha coordinato il tavolo, il Comune ha messo a disposizione il capannone attrezzato con soldi pubblici, la Confindustria ha fatto un lavoro di scrematura delle imprese: il suo presidente, Biagio Mataluni, è proprietario di uno dei massimi complessi agroindustriali oleari al mondo, che dà lavoro a 200 addetti con un’età media di 29 anni: un fiore all’occhiello per la provincia. Negli anni ha acquisito marchi storici come Oio e Topazio e ha avuto il merito di riportare in Italia nel 2009 l’antico olio Dante, rilevandolo dal gruppo spagnolo Sos-Cuetara. L’azienda ha un importante centro ricerca che ha, tra l’altro, ideato un olio arricchito di vitamina D, pare particolarmente giovevole alla salute. Insomma: è uno di quegli imprenditori, mi dicono i sindacati, che investe una buona fetta dei propri profitti. Il sindaco di Airola, Michele Napoletano, è un giovane entusiasta che crede in questo progetto, su cui del resto ha giocato gran parte della propria credibilità politica: «Da due anni, da quando sono stato eletto, considero il lavoro una priorità assoluta: non è tollerabile non fare nulla per centinaia di lavoratori, spesso con figli e mutui sulle spalle, che vivono da anni con 600 euro al mese».
E i lavoratori? Si può dire che la loro parte l’hanno già fatta. In questa storia, l’unico ruolo che gli manca ancora da giocare è quello della vittoria finale. Ne incontriamo alcuni davanti ai cancelli della Adler: alle spalle le insegne tirate a lucido e i capannoni ancora vuoti. Arriviamo in macchina, nel primo pomeriggio. Il monte Taburno domina Airola, guarda dall’alto e sonnecchia (qui lo chiamano «la dormiente del Sannio»). Loro sono già lì che ci aspettano.Cominciamo dalla storia. Giuseppe Saccavino è la memoria vivente della storia operaia di questo paese. Basta un accenno e lui parte deciso, le parole sono un flusso continuo: «Nella Valle Caudina l’attuale classe operaia nacque nel 1965 – racconta – quando la Alfa Cavi mandò i primi lavoratori a formarsi negli stabilimenti di Alessandria. Venivano tutti dalle aree agricole interne della provincia: per loro e per tutti noi furono i primi contatti con il mondo dell’industria. Fu una fase importantissima, che prima della crisi ha dato lavoro e speranza a un bel po’ di gente». Saccavino ha attraversato tutte le fasi di questa storia turbolenta: prima il passaggio della Alfa Cavi, allora di proprietà del gruppo Sme, alla Pirelli che continuò a produrre cavi, ma di un tipo ormai obsoleto e nei primi anni novanta decise «nello spazio di poche ore di chiudere tutto, licenziando 530 lavoratori – ricorda il sindacalista – Non avevamo più niente, abbiamo occupato lo stabilimento, lottato con grande convinzione, finché è arrivato il contratto d’area e le aziende dal Nord, Tessival, Benfil e Radici. Le prospettive dovevano essere buone, ma sappiamo come è andata a finire».
Luigi Seren ha “solo” 35 anni ed è un ex impiegato della Tessival in cassa integrazione a zero ore dal 2009: «L’aspettativa è grande. Dopo quasi cinque anni senza lavoro abbiamo bisogno di ricominciare, guardare avanti. Abbiamo appena fatto a Napoli le selezioni per entrare nella Adler: speriamo che vada bene. Deve andare bene». Cassa integrazione a zero ore vuol dire meno di 700 euro al mese, per gente che ha famiglie, mutui da pagare, una vita da vivere dignitosamente. Quando va bene: «Perché da quando la cassa è stata regionalizzata – racconta Seren – i ritardi sono enormi. Non arrivano soldi da gennaio. Non può continuare così, questo è chiaro».
Giuseppe Mista ha qualche anno in più. Guardate un po’ se la vita di un uomo può passare così: «Ho fatto cassa all’Alfa Cavi dal 1992 al 2002; poi sono stato assunto alla Benfil e di nuovo dal 2008 a oggi in cassa. La nostra è una situazione drammatica in un territorio, quello della Valle Caudina, che è disastrato di suo. Le lotte che abbiamo condotto, in tutti i modi, ci hanno portato a questo risultato: speriamo che presto vengano ricollocati tutti i lavoratori dell’area. Devono venire altre aziende, la zona va profondamente reindustrailizzata».
Risaliamo in macchina e torniamo indietro attraversando le Forche Caudine, sacrario dell’orgoglio sannita. I sanniti prima, i longobardi poi: sono passati tanti anni, ma la caparbietà di questa gente è ancora quella.
* Il reportage multimediale sul “modello Airola” si può vedere sul sito di Rassegna Sindacale: www.rassegna.it