Indietro (quasi) tutta honourable gentlemen. Ieri Matt Hancock, il ministro della Sanità, ha annunciato un libro bianco di riforme – le ennesime – del sistema sanitario pubblico nazionale (il primo dell’Europa postbellica): il National Health Service (Nhs). Constano essenzialmente di un robusto freno, finanche smantellamento, della decentralizzazione e privatizzazione introdotte dal suo predecessore Andrew Lansley un decennio fa, con David Cameron premier.

I 200 Trust in cui è suddivisa l’assistenza sanitaria inglese abbandoneranno gli appalti ai privati per concentrarsi su una maggiore sinergia con le amministrazioni pubbliche locali (i council) e le organizzazioni di volontariato: un sistema denominato «assistenza integrata» che alleggerisca i medici curanti su cui grava un enorme peso logistico, amministrativo e burocratico esasperato dalla crisi pandemica. Il tutto risponderà al ministro della sanità piuttosto che a un amministratore delegato, come nel sistema attuale.

Alla base del cambio di paradigma sta una maggiore enfasi sulla «salute pubblica» piuttosto che sulla cura sanitaria «dei pazienti»: tradotto in soldoni significa cercare di prevenire che le persone si ammalino visto l’invecchiamento galoppante della popolazione e le oscene diseguaglianze sociosanitarie ulteriormente esasperate dalla pandemia. La morbilità, insomma, legata al censo e all’etnia: se dieci anni fa una persona su dieci aveva asma, obesità o diabete, adesso è una su tre. Di Covid si muore di più se non si è bianchi. Il personale medico è sottopagato e stremato dal superlavoro, vessato da tagli e carichi di lavoro esorbitanti già prima della pandemia.

Johnson sta dando fondo alla sua vena di poetastro per cantare le lodi dell’Nhs, quando vent’anni fa, in piena sbornia di deregulation, ne demonizzava la pesantezza burocratica. Le cause del voltafaccia sono abbastanza ovvie. L’immensa importanza della sanità pubblica ora sotto gli occhi di chiunque, ha riportato lo stato e il pubblico in sella: i privati non avrebbero mai potuto nemmeno sognarsi di gestire simili colossali operazioni di salute pubblica. E poi il soggettivo scampato pericolo di entrambi i ministri, ammalatisi – Johnson anche seriamente – di coronavirus, che si innesta nella deviazione pregressa verso una destra sociale (qui detta compassionate conservatism) che i Tories già con Theresa May avevano abbinato al nazionalismo Brexit (anche perché spaventati dal socialismo che fu del Labour ex-Corbyn).

In sostanza si tratta di una ripoliticizzazione sanitaria dettata dalle urgenze del momento e solo apparente perché, naturalmente, i privati resteranno eccome. Il budget sanitario è in crescita forzata, dunque Downing Street vuole maggiore controllo. Le riforme Lansley/Cameron erano state introdotte sulla scia dell’austerity imposta al paese dalla coalizione Tory-Libdem post-2010: tempi lontanissimi. L’Nhs è oggetto di un andirivieni continuo fra centralizzazione e decentralizzazione, un fare e disfare che i critici chiamano «ridisorganizzazione» strutturale – ma non di merito – in cui si sono avvicendati i governi Tory e Labour dagli anni Ottanta a oggi, e a cui il New Labour di Blair aveva dato naturalmente vigoroso impulso. Il nanny state, da sempre vituperato, diventa il paladino del popolo in mezzo agli applausi per gli “eroi”.

Immediata l’alzata di scudi anche nel partito conservatore che, geneticamente, vede lo stato come guinzaglio a strozzo degli spiriti animali – bestiali? – del mercato. E il Labour? Balbetta critiche a qualcosa di cui sono correi e originari responsabili, lamentando che una simile riforma sia fatta adesso in piena pandemia mentre viene sorpassato “a sinistra” dall’avversario.