La biosfera, come ci insegnano a scuola, è quella dimensione del nostro pianeta che comprende tutte le forme di vita: diversamente dalle altre sfere di cui si compone il «sistema» terra – la litosfera, l’idrosfera, l’atmosfera – non ha dei confini definiti e le attraversa tutte, ramificandovisi nelle sue molteplici componenti visibili ed invisibili. La biosfera non resta uguale a se stessa, si modifica ed evolve nella sua relazione con le altre sfere e fra i suoi componenti, gli esseri viventi.

Noi esseri umani apparteniamo alla biosfera e la biosfera ci appartiene, un fatto semplice ed inequivocabile da cui il pensiero umano spesso si discosta collocando la sua storia al di fuori della natura. La crisi ambientale e climatica ci dice che non può più essere così. La biosfera è regolata da leggi semplici che hanno creato un ambiente complesso e delicato, dove si è originata e persiste la vita. E’ a partire da queste leggi che Enzo Scandurra, ingegnere ambientale e urbanista, nel libro Biosfera. L’ambiente che abitiamo ci mette in guardia dai rischio di una irreversibile compromissione dell’equilibrio costruitosi in miliardi di anni : alla base della crisi ambientale attuale c’è innanzitutto la tremenda velocità di trasformazione applicata dall’uomo a sistemi che si sono evoluti in tempi geologici, ben diversi da quelli storici. La prima parte del libro fornisce gli strumenti per poter osservare e ragionare con conoscenza e coscienza su quanto sta accadendo alla biosfera: l’origine della vita, il concetto di ecosistema, i processi metabolici come la fotosintesi, le leggi della termodinamica; un percorso pedagogico ed evocativo che ci spiega i concetti di complessità, di rischio, e che ci fa capire come non sia possibile prevedere, calcolare e porre rimedio a tutto: quelli che pensano ancora che la crisi ecologica possa essere aggirata, o addirittura risolta tramite la tecnologia, avverte Scandurra, ignorano la storia dell’evoluzione di questo pianeta. Una tecnologia che ha ormai soppiantato la scienza, come si afferma nel capitolo «Antropocene e neoliberismo»: a una disciplina che descrive il mondo si è sostituita un’attività che decide come deve funzionare, all’insegna di un mito del progresso che fa a pugni con l’equilibrio ecologico. E anche sulla scienza in sé e per sé regna la confusione, nel momento in cui si fanno strada convinzioni di una scienza unica e neutrale, immune dai meccanismi di potere. Enzo Scandurra ci riporta a questo proposito al prezioso lavoro di Marcello Cini che ha criticato profondamente l’idea di una scienza, nei suoi contenuti e nei suoi metodi, nella scelta dei problemi e delle priorità, indipendente dai rapporti di forza presenti nella società. Rapporti di forza che si vedono anche nell’impatto della crisi ecologica: a pagare le conseguenze del surriscaldamento globale sono le popolazioni più direttamente legate alle risorse o meno protette da eventi climatici estremi . Settori sociali che oltre essere stati marginalizzati ed impoveriti dai meccanismi di accumulazione capitalistica ora ne subiscono i danni ambientali. Il libro passa anche attraverso altre figure del dibattito come quella di Georgescu Roegen, l’inventore della bioeconomia, profeta inascoltato che aveva capito con anni di anticipo rispetto alla pubblicazione del famoso rapporto del Club di Roma I limiti dello sviluppo che un’economia votata alla sovrapproduzione e allo sfruttamento intensivo delle risorse, avrebbe portato al suicidio.
Ambiente e società reclamano giustizia, e per questo è necessario un cambiamento che nessuna rivoluzione tecnologica potrà fornire se non accompagnata da una rivoluzione culturale: una diversa relazione con la natura non-umana, un cambio di paradigma produttivo: una strada difficile ma l’unica, sulla quale si sono incamminati i giovani del Fridays for future alla quale il libro è dedicato.

Arricchiscono questa «storia destinata a cambiare il mondo più della crescita e del PIL», i saggi degli urbanisti Ilaria Agostini e Giovanni Attili. La prima vede nel pensiero ecologista l’antidoto alla mostrificazione del tessuto urbano che ha portato a megalopoli dove la liberalizzazione del capitale è diventata mancanza di regolazione. Il secondo parte dall’impatto ambientale del turismo di massa; una industria che inquina anche i tessuti sociali e culturali di luoghi omologati sotto la categoria merce.