Nel suo ultimo lavoro, En cherchant Majorana, le physicien absolu (éditions Les Equateurs / Flammarion), il fisico Etienne Klein torna sul destino di Ettore Majorana, attraverso un elegante e appassionante diario di viaggio, sospeso tra letteratura e scienza, smarcandosi dalle differenti tesi proposte sulla scomparsa del grande fisico teorico siciliano. Abbiamo incontrato l’autore al Circolo dei Lettori di Torino.

Nel volume «Il était sept fois la révolution: Albert Einstein et les autres», pubblicato da Flammarion nel 2010, si è concentrato sul decennio d’effervescenza creatrice della fisica tra il 1925 e il 1935, quando tra gli altri, compariva anche Ettore Majorana. A lui ha dedicato anche la sua ultima opera. Da dove proviene l’ossessione per quello che definisce il «fisico assoluto»?

Questa sorta di ossessione a cui lei accenna è legata alla dimensione intrinseca del personaggio, di certo, ma anche al fatto che il suo destino interroghi il senso di ogni esistenza umana: perché si vive? E perché farlo in un modo piuttosto che in un altro? E cosa rimane di queste domande quando si è un genio proiettato nella condizione umana, troppo umana?

All’inizio del suo libro c’è una foto di Majorana. «Aveva – racconterà Edoardo Amaldi – l’aspetto di un saraceno». Lei scrive: «Uno sguardo penetrante che sembra vedere lontano, al di là delle delle cose, al di là del mondo visibile». Si può considerare la fisica come una scienza in grado di andare al di là delle cose?

In effetti, la fisica ci insegna che le vere leggi della natura sono nascoste e che non si lasciano estrarre dalla semplice osservazione dei fenomeni, che talvolta contraddicono. Per fare un esempio, notiamo bene che i corpi pesanti cadono più velocemente dei corpi leggeri, per quanto la vera legge di corpi enunci come la loro velocità di caduta sia indipendente dalla loro massa. In tal senso, la fisica costringe a una reinterpretazione radicale del reale empirico.

A proposito di fotografie, in Italia ha suscitato scandalo il dossier pubblicato da «Repubblica», intitolato «Majorana e Eichmann, il segreto in una fotografia», dove prende corpo l’ipotesi secondo cui il fisico, dopo aver raggiunto Heisenberg in Germania, abbia lavorato alla creazione della bomba atomica nazista. Nella foto degli anni 50 Majorana, ovvero qualcuno che gli somigliava parecchio, è ritratto accanto ad Eichmann in fuga verso l’Argentina. Mi sembra che lei scarti la pista argentina…

Non ho nemmeno evocato questa tesi perché mi sembrava quanto meno stravagante. Come si può del resto avvalorare una tesi che si basi esclusivamente sulla pretesa somiglianza di una foto scattata tredici anni dopo la scomparsa di Majorana? D’altra parte, negli archivi tedeschi che riguardano i lavori effettuati sulla bomba atomica – aperti a tutti e consultabili – non c’è nessuna traccia di Majorana. E il nome del fisico italiano non è nemmeno venuto fuori nel 1945, quando gli scienziati tedeschi arrestati in Germania furono trasferiti in una residenza segreta in Inghilterra, e le conversazioni registrate a loro insaputa per diversi mesi.

Lei sostiene che Majorana avesse capito una cosa essenziale: «Non ci sono che due grandi possibilità di contatto con la realtà materiale: il crudo contatto, diretto, che s’impunta sulle cose, le soppesa e ne deduce le diverse proprietà; e il contatto ’a specchio’ che attraverso un gioco di corrispondenze tra visibile e invisibile, sostituisce le cose con la loro messa in concetti». Più o meno la stessa rivoluzione dello sguardo operata da Caravaggio…

La fisica non è la stessa cosa della pittura, ma questo accostamento è pertinente. La fisica come certe opere d’arte, punta ad estirpare il reale non immediatamente visibile, a dargli corpo, in qualche modo.

Ci parli di quando ha consultato i «Volumetti» di Ettore Majorana, manoscritti che si trovano riuniti alla Domus Galilaeana di Pisa.

Quando vedo gli scritti di Majorana, che si tratti della corrispondenza o dei lavori scientifici, ho come l’impressione di sentirmi più vicino a lui. La scrittura è indubbiamente la maniera più palpabile che una persona scomparsa ha per riapparire. Si tratta di una resurrezione attraverso una forma calligrafica

Condivide l’opinione di Sciascia, citato in un passaggio, secondo cui «per gli altri la scienza era un fatto di volontà, per lui una questione di natura?»

Per scrivere Il était sept fois la révolution, ho studiato molto i lavori dei padri fondatori della fisica quantica: Einstein, Pauli, Dirac, Schrödinger, Heisenberg… In tutti loro si possono avvertire momenti di scoraggiamento, dubbio, fatica, alternati a momenti di entusiasmo di gioie intellettuali. In Majorana, al contrario, le cose hanno l’aria di avanzare in modo continuo, senza ostacoli, senza insorgenze di un qualsivoglia Eureka! La fisica sembra scorrere in lui senza niente che possa trattenerla, senza sbarramenti.

Insiste molto sullo stile di Majorana. Può dirci qual è il suo, invece?

Rispetto a lui, credo di non avere uno stile in particolare. Non ho scoperto nulla d’interessante, né inventato nuovi concetti. Però ho come l’impressione di condividere con lui un’esigenza di chiarezza. sostengo che i concetti fondamentali e le idee chiave debbano essere pensate all’altezza in cui essi sono,

ma senza inutili sproloqui.

A un certo punto del suo viaggio appassionante, lei dedica di

versi passaggi al concetto di «simmetria». In che senso si tratta di una «leva teorica» in grado di attualizzare il pensiero di Majorana?

Majorana pensava che la nozione di simmetria permettesse di cogliere ciò che è permanente nel flusso dei fenomeni. Si dice di una cosa che è simmetrica se, dopo essere stata sottoposta a una certa trasformazione (traslazione, rotazione, riflessione in uno specchio), la sua apparenza non è stata modificata. Noi possiamo far subire a una sfera una rotazione da qualsiasi angolazione intorno a qualsiasi asse, passando per il suo centro senza modificarla, e senza nemmeno cambiarne la posizione.

La simmetria della sfera si traduce con il fatto che la sua equazione non varia, ovvero è la stessa prima e dopo qualunque rotazione venga ad essa imposta, e poco importa se la sfera abbia cambiato colore o densità. In particolare, l’angolo di rotazione non vi figura. Nel mondo delle particelle elementari, le simmetrie interessanti operano in seno agli spazi che solo i matematici sanno rappresentare e che sono distinti dallo spazio fisico a tre dimensioni. Queste simmetrie sono direttamente connesse alle proprietà dinamiche dei sistemi fisici, cioè al loro modo di comportarsi sotto l’effetto di una forza. E può rivelarsi molto fruttuoso cominciare con l’identificare le simmetrie fondamentali che governano i fenomeni poiché sono alla fonte delle quantità o delle strutture invarianti, idonee a rivelare il reale profondo.

Cosa intende per «majoranizzazione » progressiva della fisica?

Sempre più articoli di fisica pubblicati in questi anni hanno un titolo che contiene il nome Majorana. Secondo me, è il segno di come i concetti da lui inventati siano oggi molto attivi nelle ricerche contemporanee. In un certo senso, Majorana oggi è più vivo che mai.

In conclusione, qual è la sua «personal theory» su Majorana?

Non ho una «personal theory ». Anzi, ancora meglio, non credo affatto che si potrà un giorno fare luce completa sulle cause della sua scomparsa. Ecco perché ci tengo a lasciare Majorana al suo mistero.

Quello di un uomo a parte, di un fisico tra le prime linee dell’oscuro, un uomo che indubbiamente non ha mai abitato veramente il mondo degli umani, e la cui tormentata traiettoria non smetterà mai di interrogare il senso che diamo alle nostre conoscenze, e alle nostre vite.