L’installazione curata da Quirino Conti, con la consulenza scientifica del Museo delle Civiltà e Sapienza Università di Roma, creata per il Festival del Due Mondi di Spoleto 2018 è dedicata al “Mistero dell’Origine”. Lo spazio sotterraneo allestito nell’ex Armeria di Lucrezia Borgia evoca, con il suo paesaggio roccioso, il celebre mito della caverna di Platone (Repubblica libro 7), metafora suggestiva della conoscenza umana, ovvero la difficoltà della mente umana di pervenire ad una vera conoscenza del mondo esterno, ingannata della percezione dei sensi. Se a partire dalla poetica creazione di Platone, nella cultura occidentale, la caverna è simbolo dell’ascesi della mente umana verso la luce della verità, nella cultura dell’India di tradizione vedica la grotta è metafora del cuore, il luogo recondito in cui si nasconde il principio supremo.

Le opere esposte in mostra evocano non solo le profondità del macrocosmo, ma anche ci rivelano le profondità dell’universo interiore, quel microcosmo insondabile che è l’uomo, da cui ha origine la sete di conoscenza e senza iL quale l’universo esterno non potrebbe essere percepito. Nel buio di questa “caverna” della mente e del cuore, la luce dà vita sullo sfondo delle asperità rocciose alle forme scultoree in essa contenute: si tratta delle sculture in scisto dell’arte buddhista del Gandhara, appartenenti alle collezioni del Museo delle Civiltà di Roma e del Museo d’Arte Orientale di Torino, e di quelle in marmo di età imperiale (II-III sec. d.C.), raffiguranti soggetti ideali di età classica, assieme a ritratti (Socrate e Antinoo) e un rilievo di Mitra, provenienti dai maggiori musei archeologici di Roma.

I molteplici volti del Buddha e quelli atemporali ed imperturbabili degli dèi greci, il volto del sapiente Socrate, emblema di un pensiero critico e di una vita autoesaminata o quello del giovane Antinoo, sacrificato anzitempo ed allusivo alla gloria degli eroi antichi, le personificazioni del mondo dionisiaco e quello del Parnaso apollineo, le immagini dei rituali cosmogonici, evocano tutti la meditazione razionale o la compassione verso ogni essere senziente, il desiderio di conoscenza o quello della gioia di vivere, la ricerca dell’Assoluto e la speranza di una futura salvezza.

In una apparente divisione tra Occidente (mondo dell’antico Mediterraneo e dell’Europa sotto il dominio romano) e Oriente (tra Asia Centrale e Subcontinente Indiano) le immagini “classiche” e quelle gandhariche evocano due percorsi del pensiero umano, delineatisi in due diversi ambiti culturali e geografici del mondo antico. Nel mondo mediterraneo, a partire dal VI sec. a.C. l’attività speculativa dei Greci fu intensamente rivolta a delineare una spiegazione del mondo su base razionale, giungendo a concepire l’Universo come un sé ordinato; a partire dalla tradizione upanishadica, la speculazione indiana antica si concentrò, invece, sul problema dell’io e il suo rapporto con il principio supremo delle cose, in funzione di un continuo perfezionamento spirituale, che ha come fine il raggiungimento di uno stato che si pone oltre il cosmo. Anche la speculazione buddhista, nella ricerca continua della liberazione dal samsara, il ciclo continuo di nascite e morti, anelava al conseguimento di una realtà che si situa al di là del mondo dei fenomeni, al trascendimento dell’universo e all’uscita dal tempo, poiché la sofferenza permea di sé tutto l’esistente.

É in quest’ottica che dobbiamo avvicinarci alle sculture di Buddha esposte in mostra: esse vennero concepite per essere di supporto alla meditazione e alla contemplazione e furono immaginate come proiezioni della realtà assoluta. La contemplazione di tali icone doveva condurre il devoto a scoprire entro se stesso il principio della buddhità. Realizzate nei primi secoli dell’èra cristiana nei territori dell’antica India di Nord Ovest (attuali Pakistan settentrionale e Afghanistan orientale), queste statue sono riconducibili al quel particolare fenomeno figurativo denominato ‘arte del Gandhara’, caratterizzato dalla compresenza di influssi indiani, iranici, centroasiatici e classici – questi ultimi esito della lunga presenza dei Greci in queste aree di frontiera.

L’immagine del Buddha gandharico appare caratterizzata da una serie di ‘segni’ dal potente significato simbolico, derivati in buona parte dalla cultura indiana. Elaborata in un contesto cosmopolita, questa raffigurazione sembra d’altra parte tradire anche elementi di origine occidentale che implicano forse una connessione del Buddha con il logos.

Testimonianza visibile dell’incontro tra Oriente e Occidente, questa icona venne elaborata grazie all’ausilio di elementi eterogenei di diversa provenienza, finalizzati ad esprimere il valore universale dell’Illuminazione, e fu concepita in modo tale da permettere una lettura attraverso percorsi culturali multipli, di matrice indiana o occidentale, mantenendo ogni volta intatto il suo significato di dharma e di logos, di quel principio che è fondamento del cosmo, oltre il cosmo, oltre il tempo.

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Nella prospettiva di un confronto tra il pensiero indiano e quello occidentale, che Giuseppe Tucci considerava come «due strade parallele, germinate e nutrite dallo stesso mistero (…) e stimolate dall’ansia di diradarlo» (Storia della filosofia indiana, Bari 1957, p. 13), la giustapposizione dei due rilievi, quello del Buddha meditante nella grotta e quello del sacrificio del toro per mano di Mitra, mette in scena un preciso parallelismo del mito dell’Origine tra i due mondi culturali. Come ha poeticamente espresso il grande storico dell’arte indiana Ananda K. Coomaraswamy (1877-1947) nel mettere a confronto il mito del Progenitore e della Montagna nell’induismo con la cultura occidentale: «noi ora siamo la pietra da cui può scoccare la scintilla, la montagna sotto la quale Dio giace celato (…). Se il suo rifugio è ora una caverna o una casa, esisteranno la montagna o i muri da cui è racchiuso. Il “tu” e l’“io” sono la prigione psicofisica, il Costrittore da cui il Primo è stato ingoiato perché “noi” potessimo pienamente essere» (Induismo e Buddhismo, SE Milano 2005, p. 26).

Proprio la riflessione sul mistero dell’origine nel pensiero indiano, nel mondo persiano antico, e nel Mediterraneo greco-romano, infatti, rivela molteplici parallelismi e analogie ma anche gli echi di interazioni e scambi concreti. Se nel corso dell’esperienza del mondo greco-romano, dalla fase arcaica fino alla grande espansione segnata dalla vicenda di Alessandro, i contatti e gli scambi tra Oriente e Occidente non erano mancati, è nel quadro dell’impero romano, con la sua estensione geografica e grazie all’ambizione e mobilità delle sue classi dirigenti, che tali legami tra Mediterraneo ed Eurasia vennero potenziati.

In questo senso le immagini classiche e gandhariche allestite nella caverna – metafora del mito platonico, o simbolo del cuore in cui si manifesta il principio luminoso – e i contenuti profondi che in esse si materializzano offrono molteplici spunti per letture e interpretazioni parallele ed evocano il continuo confronto e il continuo dialogo tra culture differenti.

testo di :

Laura Giuliano (Museo delle Civiltà, Roma )

Marco Galli (Sapienza Università di Roma- Dipartimento di Scienze dell’Antichità)

LA MOSTRA

Fino a domenica 15 luglio, nell’Armeria Lucrezia Borgia ex Museo Civico di Spoleto, sarà visitabile gratuitamente la mostra MITI, TRASFIGURAZIONI – curata da Quirino Conti con la consulenza scientifica del Museo delle Civiltà e della Sapienza Università di Roma – organizzata dalla Fondazione Carla Fendi nell’ambito del Festival dei 2 mondi di Spoleto. Da quest’anno sotto la guida della nuova presidente Maria Teresa Venturini Fendi, la Fondazione, nata per dare contributo e sostegno alla cultura, ha iniziato un nuovo percorso dedicato alla sulla scienza.

Sempre nell’ambito del Festival di Spoleto domenica 15 luglio al Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi la Fondazione conferirà il Premio Carla Fendi a tre illustri scienziati: Peter Higgs e François Englert, Premi Nobel per la Fisica 2013 per la teorizzazione del bosone di Higgs e Fabiola Gianotti, fisico delle particelle, direttore del CERN. Parallelamente a MITI, TRASFIGURAZIONI nella chiesa della Manna d’Oro, fino al 15 luglio, sarà inoltre visitabile una seconda installazione LA SCIENZA, prodotta dalla Fondazione Carla Fendi in collaborazione con INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare).