Avvolta da un mistero intricato quanto le sue scoperte scientifiche, la figura di Ettore Majorana riaffiora periodicamente nei telegiornali. Ma aldilà delle congetture, delle supposizioni, di quel brusio sommesso ma costante relativo alla scomparsa dello scienziato e ai motivi che la determinarono, resta l’assenza. Un vuoto su cui Francesca Riccioni (già sceneggiatrice di Enigma, la strana vita di Alan Turing, accanto a Tuono Pettinato) e Silvia Rocchi (autrice delle biografie a fumetti su Alda Merini e Tiziano Terzani) costruiscono il grafic novel Il segreto di Majorana, pubblicato da Rizzoli Lizard e presentato al Comicon di Napoli, dove incontriamo le autrici.
La procura di Roma nel febbraio di quest’anno ha dichiarato chiusa un’inchiesta che conferma che Majorana visse in Venezuela negli anni ’50, ma l’idea del fumetto sullo scienziato nasce prima. Come prende vita questo progetto?
Risponde Francesca Riccioni: «Mi è capitato di voler scomparire e mi sono resa conto che la mia vita virtuale, account sui social e tutto il resto, non mi avrebbe permesso né di scomparire, né di rifarmi un’identità. Scontrandomi con questa circostanza, ho capito che se davvero avessi preso quella decisione, sarei rimasta in realtà a galleggiare in un limbo, una situazione di presenza in assenza. Più di recente, mi è successo che un amico mi raccontasse di aver assistito a una conferenza in Germania, dove il fisico Leo Kouwenhoven presentava il suo rilevamento del fermione di Majorana nelle nanotecnologie della materia condensata, tra l’altro conquistandosi la copertina di Science di maggio del 2012. Ho messo insieme questi elementi ed ho pensato che Majorana fosse un buonissimo candidato per la mia seconda biografia. Tutto questo accadeva in contemporanea con una bella mostra di Silvia Rocchi, che avevo visto e mi era piaciuta molto. Majorana me lo sono subito immaginato disegnato da lei».
Il fisico catanese scomparve nel 1938 tra Napoli e Catania, entrando per sempre nel mito e contravvenendo così anche al diktat del Duce che annotò il fascicolo d’inchiesta con un laconico e assordante «si deve trovare». Lungi dal voler alimentare le teorie su questa sparizione, l’intento delle autrici è piuttosto quello di raccontarne la persona nella dimensione di scienziato. Con un espediente narrativo di cornice che racchiude la storia centrale, tutto l’impianto si articola su un doppio binario: Leo è lo scienziato che presenta il lavoro di Majorana in un’università californiana settantacinque anni dopo la sua scomparsa. La conferenza riprodotta nelle tavole è tanto reale quanto le scoperte del fisico, e quanto le teorie di Majorana, che vengono proposte in forma semplificata e accessibile al lettore. Nel fumetto la parte scientifica occupa uno spazio rilavante nel libro. Come avete lavorato per proporre contenuti così densi?
Francesca Riccioni: «Avendo scelto di occuparci di Majorana e non dei motivi o dell’inchiesta sulla sua scomparsa, il libro parla sicuramente di scienza. Abbiamo approcciato la materia raccontandola in un contesto contemporaneo, tenendo sempre ben presenti i concetti di materia e di antimateria, che quando si incontrano creano un vuoto, una metafora di quello lasciato da Majorana. Mi sono proposta a Silvia con una storia che è intrisa di scienza, ma di una scienza astratta. Mi interessava il suo tratto proprio perché riesce a rendere questo senso di rarefazione che avvolge la vicenda».
Silvia Rocchi: «Credo che l’immagine imponga una fruizione più lenta, e quindi un’attenzione più posata. Quando Francesca mi spiegava i concetti fisici, mi faceva notare che la fisica degli anni ’30 era in effetti molto più semplice rispetto a quella odierna, ma Majorana si occupava di fisica astratta, quindi i suoi studi sono in un certo senso attualissimi. Il primo spunto è venuto quando Francesca mi ha mostrato le camere a nebbia- molto grafiche- e ho accettato la sfida di renderle sulla pagina, risolvendo con l’applicazione di fili di cotone sulla lastra. In fondo nessuno ha mai visto le particelle, quindi disegnarle è un paradosso interessante».
Diremmo quasi che si tratta di un fumetto a tecnica mista. Attingi alle recenti esperienze di stampa autoprodotta?
Silvia Rocchi: «Sì, oltre alle consuete matite colorate e acrilici ho introdotto, com’era già successo nel libro su Tiziano Terzani, degli inserti con tecniche a stampa diverse. Lì si trattava di xilografia, incisione su legno; in questo caso invece ho utilizzato la monotipia calcografica, una stampa realizzata con un inchiostro oleoso e molto denso, che ingrandita può creare delle texture molto adatte a rendere l’idea di elementi astratti».
Francesca Riccioni: «A ben vedere utilizziamo questa tecnica nelle pagine dove si parla di scienza: sono pagine di raccordo sospese nel tempo della storia, integrate in entrambi i livelli della narrazione, ma che ne creano al tempo stesso un terzo, quello del discorso scientifico di Majorana valido allora come oggi: lavoriamo ancora oggi sulle sue teorie, per come sono state scritte».
Nelle pagine narrative invece l’organizzazione del testo alterna la splash page (tavola a pagina intera) a tavole divise in due grandi vignette orizzontali. Due modi per presentare la vicenda per immagini, di nuovo il gioco del doppio?
Silvia Rocchi: «È una scelta di linearità. Ci serviva uno schema che desse spazio al mio disegno: ho un tratto caotico, immediato, difficile da incasellare nella classica griglia a otto».
L’organizzazione rigorosa della narrazione lascia comunque spazio a delle incursioni «esterne» come quando nella storia di cornice c’è un momento di dissenso nel ricordo dei moti di Seattle nel 2000, relativi alla libera ricerca scientifica e alla lotta contro i brevetti. Un attrito che si riflette-di nuovo il gioco del doppio narrativo- nella storia di allora, quando le ricerche e la personalità di Ettore Majorana si scontravano con un pensiero scientifico dominante, tanto da non farlo sentire mai del tutto integrato al gruppo dei ragazzi di Via Panisperna o da complicare i rapporti con lo stesso Enrico Fermi, che dirigeva l’Istituto di Fisica a Roma.
Francesca Riccioni: «Fermi e Majorana erano due persone diverse. Fermi era un fisico di mestiere, la ricerca era il suo lavoro, un’attività che poi sfociò in quel compromesso tristemente noto che è la vicenda di Los Alamos. Majorana era un aristocratico catanese ed un genio, a detta dello stesso Fermi, e aveva una visione e un approccio diversissimo alla scienza e alla ricerca, quasi estetico. Abbiamo cercato di rendere questa sua meraviglia di fronte alla natura siciliana, nel momento in cui dopo il periodo romano, torna a Catania. Crediamo che avesse o sentisse una sorta di comprensione totale della natura».
Lo stesso Leonardo Sciascia, nel suo bel libro La scomparsa di Majorana, insiste molto su questa duplice tensione: l’emozione e la febbrilità della scoperta che animavano il giovane scienziato, contro il suo sottrarsi alla divulgazione pubblica, tanto da arrivare ad eludere la paternità di certe teorie e in qualche modo a non «concedersi» quasi mai in forma scritta o attraverso l’insegnamento.
C’è un unico grande ritratto di Ettore nel libro, a parte quello di copertina, nel quale inserite una lapidaria battuta «io non so nulla, io non ho mai saputo nulla». Si tratta di una nota caratteriale relativa alla riservatezza che Sciascia definisce propria di «tutti i siciliani ‘buoni’, dei siciliani migliori» o di quella proverbiale modestia dietro la quale si asserragliava per non concedersi allo scientific system?
Francesca Riccioni: «Libera interpretazione, ma la frase è nostra. Nella pagina è riassunto il «segreto» cui fa riferimento il titolo, il mistero sulle ricerche svolte, dovuto al fatto che Majorana pubblicava pochissimo. Alcuni dicono che non fosse mai sicuro di quello che scriveva e trovava, ma vero è anche che le teorie sono vere appena pubblicate e che poi possono essere confutate: fa parte del gioco della scienza. Un gioco al quale Majorana non si piega».
Un libro che mostra una scelta autoriale coraggiosa che avvalla le infinite possibilità del fumetto nella comunicazione scientifico-divulgativa. A che pubblico avete pensato mentre scrivevate?
Francesca Riccioni: «Quando si scrive di scienza si pensa sempre alla comunità scientifica e al rigore di ciò che si scrive: tutti sono attenti a come viene utilizzata la propria produzione quando rivolta a un pubblico non specializzato, ma in generale è un libro rivolto a tutti».
Silvia Rocchi: «È molto semplice. Io di fisica non so niente, così quando Francesca mi spiegava le teorie di Majorana mi chiedevo se il lettore le avrebbe capite; man a mano che definivamo la struttura della storia però, mi sono accorta che sorgevamo similitudini interessanti come quella dello specchio. Attraverso la metafora abbiamo cercato un’apertura estetica che potesse trasmettere o quantomeno alludere ad un contenuto scientifico».
Il Mistero di Majorana si gusta come un atteso frutto editoriale che regala un sapore nuovo alla narrazione illustrata della scienza e della storia della scienza. Riccioni e Rocchi lo offrono al lettore con una spinta di autodeterminazione lodevole, la prima con una scrittura che rende accessibili i concetti fisici investigati dallo studioso catanese, e la seconda affidandosi al suo tratto impulsivo e denso, alla varietà delle sue matite e alla freschezza delle composizioni (che a questo Comicon 2015 gli sono valse il premio Nuove Strade, assegnato dal Centro del fumetto Andrea Pazienza). Un approccio complementare ad uno stesso argomento, fondato sull’assioma del rispetto per la figura e per la famiglia del genio catanese. Il risultato è una storia nella quale si respira quel soffio eterno delle brezze del sud, quell’aria sospesa delle terre che furono testimoni dell’ultimo anno della vita (conosciuta) del genio catanese. La domanda che soggiace nel silenzio della scomparsa è quella impertinente, approfondita in chiave tecnologica nel divertente epilogo di Tiziano Bonini, che le autrici rivolgono al lettore nello spazio bianco: e voi, avete mai pensato di sparire?