Laconico ma preciso Matteo Renzi a proposito della sentenza bomba di Milano: «Mai commentata una sentenza e non inizierò oggi. Con Fi c’è un accordo istituzionale perché in un paese civile le riforme si fanno insieme, e io avrei mantenuto la parola anche se Berlusconi fosse stato condannato». Un’ostentazione di lealtà pronunciata per chiedere al socio medesima fedeltà.
Berlusconi, per quanto lo riguarda, sarebbe dello stesso avviso. Resta da vedere quanto salda sia ancora la sua presa sulla sua sparsa e litigiosa truppa. Sì, perché in quello che fu un tempo il centrodestra non ne trovi uno che non si dichiari felicissimo, ma quasi non ne trovi neppure uno che non metta le mani avanti per chiarire, più o meno tra le righe, che, se il monarca è redivivo, il tempo della monarchia assoluta è terminato per sempre.
Il fragore è più rumoroso e minaccioso nei partiti che dovrebbero di qui alle elezioni politiche allearsi con Fi, specialmente in quello che in salute sta meglio di tutti, la Lega, accreditata dei sondaggi di un ulteriore afflusso di consensi rispetto al già brillante risultato delle ultime europee: dal 6,2 al 7,5%. Oggi, a Verona, si apre il congresso del Carroccio e Matteo Salvini, l’unico leader insieme all’omonimo di Palazzo Chigi a essere uscito vincitore dall’ultimo agone elettorale, non intende modificare di una virgola le sue decisioni in seguito al miracolo di Milano. Attaccherà l’Italicum, e si qui nulla di imprevisto. Ma sconfesserà anche Calderoli, co-relatore al Senato sulle riforme, bocciando la riforma di Renzi. La formula sarà obliqua: chiederà l’approvazione degli emendamenti leghisti pena un secco no in aula. La posizione sarà comunque inequivoca, dal momento che quegli emendamenti (referendum sull’Europa, referendum propositivi, abbassamento secco del numero di firme per i referendum e per le leggi di iniziativa popolare, senza contare l’elettività dei senatori) il governo proprio non può accettarli. Dunque da domani la riforma avrà un nemico dichiarato in più, e di quelli temibili.
La mossa di Salvini va inquadrata in una strategia precisa, che differisce da quella del “padre” politico Bobo Maroni (che Salvini è peraltro avviato a spingere cortesemente verso il margine). L’ex ministro aveva commentato la sentenza chiedendo all’assolto «un gesto di coraggio e generosità», in soldoni di passare il testimone al solo leader emerso a destra negli ultimi anni: Matteo Salvini. Il diretto interessato ha in mente il medesimo obiettivo, ma per raggiungerlo pensa a una sfida diretta, di quelle a muso duro, per strappare mucchi di voti al sempre più esangue partito azzurro. «Avanti a testa alta, siamo l’unica alternativa al renzismo», twittato il rampante: la strategia che verrà fuori dal congresso di Verona è tutta qui.
All’estremo opposto dello spettro politico del centrodestra, gli sconfitti dell’Ncd suonano una musica identica. Quagliariello è «felice», figurarsi. Però non c’è sentenza che tenga: «Il ciclo di Berlusconi si è chiuso. Dovrebbe avere il coraggio di passare il testimone». Anche l’Ncd, dunque, affila le armi. In vista non della riforma del Senato ma di quella elettorale. Da quella partita, che si giocherà in settembre, dipendono infatti le possibilità, per l’assolto, di riconquistare lo scettro.
Il vero punto dolente, però, è che nella stessa Fi la lieta novella non ha affatto «ricompattato il partito», come negli auspici di Palazzo Chigi. Al contrario, almeno stando alle reazioni di ieri, si direbbe che l’essere ormai affrancati dall’obbligo di solidarietà col perseguitato abbia reso i ribelli ancora più arditi. Cinzia Bonfrisco, che con Minzolini fa da punto di riferimento per il dissenso al Senato, va giù piatta: «Il nostro presidente, libero da una comprensibile ossessione, può ora discutere con noi del merito di una riforma non solo ’renziana’, ma più berlusconiana». Il Mattinale, che dà voce agli umori di Brunetta, suona lo stesso ritornello: «Da oggi non abbiamo più la pistola alla tempia. Sulle riforme è tempo di far valere senza remore o complessi i nostri contenuti». Fitto, che degli oppositori è in realtà il principale, conferma: ora si potrà «ragionare di politica senza più spada di Damocle». E al partito, soprattuto nei territori, «discutere farà bene».
La replica del cerchio magico non si fa attendere. Arriva subito, affidata a Toti: «Molti temi che l’amico Fitto pone sono seri. Però dopo aver dato il loro contributo al dibattito, i dirigenti faranno in modo che la linea passi. E la linea la detta come sempre Berlusconi». Non è detto che sia vero. Che Berlusconi sia resuscitato è un fatto. Ma che possa anche tornare a essere il sovrano della destra è invece ancora tutto da dimostrarsi.