Peter Brook, a 96 anni, resta uno dei maestri indiscussi del teatro contemporaneo. L’aver realizzato diverse decine di spettacoli, quasi non gli permette ancora di voler smettere. Anche se molti di questi sono rimasti storici: da quelli creati con la Royal Shakespeare Company, ai tanti davvero «epocali» nati alle parigine Bouffes du Nord (con spostamenti «momentanei» sugli altopiani persiani, o in Polonia dal suo fratello d’arte Jerzy Grotowski). In tutti questi anni La tempesta shakespeariana è tornata più volte, forse cinque, tra le sue creazioni (senza alcuna malizia né malaugurio, si può notare che proprio questo titolo fu l’ultimo interamente scritto da Shakespeare). Ora è appena passata dal teatro Cucinelli di Solomeo (in collaborazione con lo stabile dell’Umbria) una sua nuova versione, realizzata come tutte le sue ultime opere assieme a Marie-Hélène Estienne. Una versione asciugata di quanto possa essere orpello, resa essenziale fin dal titolo programmatico:Tempest project (unica replica prevista in Italia a inizio 2022, al Goldoni di Venezia). Davvero essenziale è la distribuzione tra gli attori, cinque o sei in tutto, che si passano i ruoli, e cambiano personaggio solo indossando una giacchetta o un mantello. Ingenerando anche qualche spiazzamento, perché ad esempio l’attore che impersona «l’orrido» Calibano, fa anche il giovane innamorato di Miranda, l’ingenua figlia del protagonista Prospero.

È QUESTI il mago, relegato su un’isola sperduta da chi gli volle usurpare il trono ducale di Milano, consolato solo dall’esercizio della magia che ha coltivato negli anni, e dalla figlia che ha coltivato e fatta crescere. Non a caso Brook ha voluto nel ruolo protagonista di Prospero un attore di origine africana, perché dotato culturalmente di una spiritualità latitante in Europa. Perché il vero miracolo, che maggiormente colpisce e coinvolge lo spettatore, forse soprattutto oggi, è quello del «perdono», ovvero il superamento dell’odio e del desiderio di vendetta nei confronti di chi gli ha fatto del male. Come un gran sacerdote inquieto, Prospero viene illuminato a deporre il suo risentimento, proprio dall’amore sincero che sgorga dalla ingenua sua figlia, verso il di figlio di chi mandò in rovina suo padre. Quella conversione virtuosa ci suona oggi più che di avvertimento, e dirada i possibili dubbi di chi poteva trovare quest’allestimento troppo semplice e povero: il «miracolo» della conversione di Prospero, è una lezione di semplicità positiva, che riconcilia col teatro e col mondo.