C’è qualcosa di emozionante, anzi di davvero «commovente», nel docufilm che Francesco De Melis ha girato (con macchina a spalla) e che presenta oggi nel Padiglione Italia per Venezia 75. Un patrimonio sulle spalle infatti mixa, coordina e rende unitario come canto e grido di preghiera la fatica perfettamente coordinata di coloro che portano sulle spalle, in senso letterale, le macchine devozionali in quattro famosi cortei rituali che ogni anno si tengono in quattro diverse località italiane: la Varia di Palmi, i Gigli di Nola, la macchina viterbese di santa Rosa, e i Candelieri a Sassari.

Quattro riti devozionali diversi e particolari, tutti molto popolari se ad ognuna partecipano molte migliaia di fedeli/spettatori , ma che hanno in comune il fatto di avere al centro una o più macchine «sceniche», che sono l’oggetto di culto e insieme il motore di quelle celebrazioni. Macchine dal peso micidiale e dall’equilibrio delicatissimo, che vengono non solo portate a spalla da squadre di decine, o magari centinaia, di portatori, ma che in mezzo alla foll a danzano nel muoversi.

Su un ritmo musicale ma soprattutto fisico dato dai passi e dai corpi dei portatori. Un rito collettivo ancestrale mantenutosi nei secoli,frutto di lunghe prove e di grande coordinamento, che si arricchisce negli anni dell’esperienza che diviene maestrìa dei partecipanti.

POCHE DECINE di minuti di una tensione crescente, che marcia nel ritmo verso il parossismo, eppure esprime un forza positiva e perfino «creatrice». Perché al di là del valore folklorico e devozionale, oggi che si è ovviamente affievolita la componente liturgica di fede, quei trasporti sacrali e le loro ferree regole mettono in primo piano un carattere oggi negletto e poco riconosciuto: quello della fatica. Anzi della fatica insieme, che restituisce senso e fondamento alla comunità.

E questo è il miracolo di «commozione» che riesce a cogliere e porgere il film di De Melis, che certo ha solide fondamenta scientifiche ( infatti è stato prodotto dall’Istituto centrale per la demoetnoantropologia del ministero dei beni culturali), ma spazza via ogni patina voyeuristica di pura «curiosità» a quelle immagini, grazie anche alla bella e complessa partitura musicale (composta dallo stesso regista), per arrivare a purificarne le immagini e la gioia nel rischio e appunto nella fatica che si fanno protagonisti. Un valore fortissimo, non a caso colto e apprezzato dall’Unesco, che ha riconosciuto alla rete delle grandi «macchine a spalla» il diritto a rientrare nel novero dei patrimoni immateriali dell’umanità.