Il Prodotto interno lordo italiano è tornato a crescere dello 0,1% nel quarto trimestre 2013. Una notizia ormai conosciuta, e ieri confermata dall’Istat. Per mesi, fino a quando è stato in carica il governo Letta, questo impercettibile miglioramento è stato atteso, festeggiato, invocato come il segnale dell’uscita definitiva, irreversibile, dalla crisi. Non è così perchè le statistiche devono essere lette per intero. E infatti, a scanso di equivoci, e per evitare che l’ormai dimissionato ministro dell’economia Fabrizio Saccomani, oppure il suo ancora ignoto successore, prendano cappello (è successo anche questo durante l’ultimo governo, una polemica tra Saccomanni e Istat su una manciata di percentili, il 4 novembre), l’Istat ha precisato: il Pil è diminuito nel 2013 dell’1,9%, diversamente da tutte le stime fatte dal governo (e anche dall’Istat che a novembre parlava di -1,8%). Nel 2012 era andato ancora peggio: meno 2,5%. Certo, si dirà: c’è un miglioramento, e quel micragnoso segnale più accanto allo zero è un segno del cielo.

L’ultimo trimestre positivo per l’economia italiana è stato il secondo del 2011: +0,2%. Il lieve segno positivo è la sintesi di un andamento positivo del valore aggiunto nei settori dell’agricoltura e dell’industria e di una variazione nulla del valore aggiunto nel comparto dei servizi. Allo stato attuale, e in attesa del nuovo governo Renzi, l’Fmi ha stimato la crescita del Pil per il 2014 allo 0,6%. Per Istat, Bankitalia e Ue sarà dello 0,7%.