«Sono un uomo del Monte Rosa, ho fatto per quarant’anni e più la guida alpina. Ma quanto è bello il Mottarone». Alberto Paleari, 72 anni, è un personaggio importante dell’alpinismo italiano. Come guida ha svelato i segreti della roccia, della neve e del ghiaccio a centinaia di clienti.

Molti altri innamorati dei monti (e sono migliaia), hanno apprezzato i libri di Alberto, scritti con tono scanzonato ma pieni di ragionamenti profondi. Alcuni sono romanzi, altri storie di vita vera. Uno, Il giorno dell’astragalo, inizia con un racconto di vita vissuta. Un volo, un incidente di arrampicata su una via del Mottarone.

Alberto Paleari

«Sono nato a Gravellona Toce, ai piedi di questa montagna. Vivo a Gignese, accanto a una stazione della ferrovia a cremagliera che è stata abbandonata mezzo secolo fa», racconta Paleari. «Il Mottarone è un luogo perfetto per camminare, per andare in bici, per cercare funghi. Il panorama è pazzesco, vedi tutte le Alpi dal Monviso al Bernina, hai il Monte Rosa di fronte, dall’altra parte ci sono il Lago Maggiore e la pianura».

Come dimostrano la sua vita e i suoi scritti, Alberto Paleari non è un uomo dell’ovvio. Non a caso, negli ultimi decenni, è stato lui a esplorare il Mottarone selvaggio, quello dei pilastri di granito rosa che precipitano verso Omegna e le sue industrie. «Ho aperto decine di vie di arrampicata, alcune sono lunghe centinaia di metri. La roccia è incredibile, e anche se l’ambiente è diverso sembra di scalare sul granito del Monte Bianco. Certo, accanto ai pilastri non hai dei canaloni di ghiaccio ma degli impenetrabili boschi. E se guardi in basso non vedi un ghiacciaio ma il Lago d’Orta e le fabbriche di Omegna, dalla Lagostina alla Bialetti».

IL MONDO DI ALBERTO Paleari, tra il Monte Rosa, il Lago Maggiore e il Sempione, ha da sempre un rapporto privilegiato con la Svizzera. E il paragone non è sempre lusinghiero per l’Italia.

«Stresa, anche grazie alla ferrovia del Sempione, è sempre stata una meta turistica famosa. La cremagliera per il Mottarone, inaugurata nell’Ottocento, era l’equivalente di quella svizzera del Rigi, belvedere sull’Oberland Bernese. Poi è arrivata la mania italiana della gomma, e il trenino è stato smantellato per far posto alla strada e alla funivia. Un errore clamoroso». Per la gente del posto, racconta Paleari, il Mottarone è quasi un giardino di casa. «Ci sono anche delle brevi piste da sci, nevica quasi tutti gli inverni. Anch’io, come migliaia di ragazzi del Verbano e dell’Ossola, ho imparato a sciare lassù. Ma molti arrivano da Milano, che dista solo 70 chilometri».

Il Mottarone, come le altre piccole montagne, consente di assecondare le stagioni della vita. «Quando ero giovane il Monte Bianco, il Monte Rosa e le grandi montagne del Vallese erano casa mia. Ci ho portato moltissimi clienti, ho avuto grandi soddisfazioni, mi è andata bene. Anche se sei bravo e attento, i crepacci e le valanghe possono sempre farti male», confessa Alberto Paleari.

«Ho smesso di fare la guida alpina a 68 anni, nella vita bisogna accettare la propria età. Ora mi piace arrampicare, soprattutto a bassa quota e in falesia. E mi piace camminare tra prati e boschi, anche da queste parti, in vista del Lago Maggiore e del Lago d’Orta», prosegue l’alpinista e scrittore piemontese.

SUL MOTTARONE, oltre ai panorami e ai boschi, c’è anche la storia. «I borghi sono suggestivi, sulla riva opposta del Lago Maggiore si visita il magnifico santuario di Santa Caterina del Sasso. Mezzo Mottarone appartiene ancora ai principi Borromeo, e chi sale in auto da Stresa deve pagare un pedaggio proprio a loro. Io preferisco fare il giro da Armeno», sorride Alberto.

Sul Mottarone, come su tante montagne turistiche, il luogo meno bello e interessante è proprio la cima, a 1491 metri di quota. «Oltre alla funivia ci arrivano due strade, ci sono delle grandi antenne e un grande piazzale sterrato, sui prati salgono gli skilift usati d’inverno dagli sciatori. È brutto, ed è terribile il rumore dei motociclisti, che salgono a tutta velocità, da entrambi i lati della montagna, rischiando di travolgere i pedoni che osano fare qualche metro sull’asfalto».

Quando ci si allontana dalle strade e dalla cima, però, il Mottarone diventa meraviglioso, e Alberto nel raccontarlo si distende in un sorriso. «Il Monte Falò, a sud della vetta più alta, è una meta di escursioni splendide. Lo stesso vale per il giardino botanico Alpinia. Se ci fosse ancora il trenino si potrebbe scendere a una stazione, camminare e riprendere il treno in un’altra, come si fa in Val Vigezzo».

ALBERTO PALEARI ha scritto anche molte guide, dedicate ad arrampicate, itinerari di scialpinismo, cammini e sentieri. Quando parla del suo amato Mottarone, però, non ha voglia di raccontare proprio tutto. Ha ragione, perché in montagna, anche a poco più di mille metri di quota, la fantasia e la ricerca di ognuno devono mantenere uno spazio.

L’ultima considerazione, allora, riguarda il rapporto della piccola montagna con Stresa, e con il turismo sulle rive del Lago Maggiore. «Qualcuno nella zona guarda al Mottarone con un mezzo sorriso. Sbaglia, perché questa piccola montagna è fondamentale anche per i visitatori che arrivano da lontano, e che stanno finalmente iniziando a tornare dopo il Covid».

«Chi viene a fare una breve vacanza a Stresa il primo giorno visita i magnifici giardini di Villa Taranto, il secondo prende un battello e va alle Isole Borromee, splendide e iper-frequentate. Il terzo giorno, però, è sempre stato dedicato al Mottarone, ai suoi panorami e ai suoi boschi», continua Alberto.

«Adesso salire di quota è diventato più difficile, e la conseguenza è che i turisti resteranno di meno sul lago. Accanto al dolore, terribile, per la tragedia di domenica, la perdita della funivia è un duro colpo all’economia e al lavoro della zona. Lo capiranno, lo capiremo nelle prossime settimane».