«Il mio corpo non è il tuo porno», «Io non sono il porno coreano». Questi gli slogan delle donne sudcoreane che sabato scorso a Seul hanno manifestato contro lo spy-cam porn – le immagini di ragazze inconsapevoli rubate con delle microcamere nascoste e poi caricate in rete, fenomeno diffusissimo in Corea del Sud.

LA PROTESTA DI PIAZZA organizzata dalla Women March for Justice è ormai diventata un appuntamento mensile a partire dallo scorso maggio, assumendo le proporzioni della più grande contestazione femminile di massa che si sia mai vista nel paese asiatico: a giugno le donne scese in piazza erano 50.000 – anche se la polizia parla di 22.000 partecipanti. la più numerosa protesta di piazza di sole donne nella storia della Corea del Sud – ancora una volta per ribellarsi allo spy-cam porn, un «genere» fondato sulla propria stessa illegalità ma largamente accettato, in primo luogo dai siti pornografici che lo annoverano tra i propri contenuti.

QUELLO CHE SI CHIEDE non è solo una lotta più serrata delle autorità alla diffusissima pratica di filmare le donne inconsapevoli a scopi pornografici – nascondendo delle microcamere in luoghi pubblici come bagni o spogliatoi ma anche da parte di «amici» o conoscenti – ma soprattutto un diverso atteggiamento della polizia quando questi abusi vengono denunciati: le vittime sono spesso messe sotto accusa per i loro atteggiamenti e la stessa legge che punisce questi reati consente molte scappatoie per chi li commette, e non è al passo con gli sviluppi tecnologici. PER

L’ARTICOLO CHE SANZIONA i crimini sessuali nella sfera informatica è da considerarsi infatti «contenuto criminale» solo quell’immagine che rappresenti delle parti del corpo «che possano indurre desiderio sessuale o umiliazione», di modo che gran parte dei filmati rubati non si qualificano come perseguibili penalmente.
Una legge obsoleta e in contraddizione perfino con altri provvedimenti legislativi, se si pensa che già dal 2004 il governo coreano ha imposto che lo scatto di una foto con il cellulare debba fare un forte rumore in modo da non poter passare inosservato. Inoltre, come riporta il sito Korea Exposè, tra il 2012 e il 2017 dei 30.000 sospetti di aver ripreso delle donne contro la loro volontà indagati dalle forze dell’ordine solo il 3% è stato arrestato.

A SCATENARE LA PROTESTA di piazza però non è stata ’’inedia della polizia, ma la sua prontezza ad agire, quando la vittima è un uomo. Oltre all’esponenziale ascesa dei crimini legati allo spy-cam porn al centro della mobilitazione c’è infatti il recente arresto di Ahn, una studentessa della Hongik University colpevole di aver filmato e distribuito online le immagini di un modello nudo.

L’arresto è stato rapido e implacabile, e Ahn è stata «esibita» di fronte ai media con una maschera per proteggere la sua identità insieme al nome di fantasia. «A differenza della maggior parte dei casi in cui le vittime sono donne, il filmato illegale di un modello alla Hongik University ha avuto sin da subito un’incredibile attenzione – hanno detto le organizzatrici delle manifestazioni – la polizia ha reagito prontamente e con successo, in un caso senza precedenti di indagini in cui si è dato ascolto alla vittima. Mentre in passato molte donne hanno criticato la polizia per la sua attitudine negligente nei confronti delle vittime femminili».

LE DONNE ritrovatesi a Seul hanno manifestato con il volto coperto – come Ahn – proprio per evidenziare questo doppiopesismo, ma anche in reazione alla sovraesposizione a cui sono sottoposte le vittime di spy-cam porn. «Lo status quo è fondato sulla discriminazione sessuale – ha scritto una delle organizzatrici a Korea Exposé – Noi reclamiamo il nostro diritto a sfidarlo».