Nel caos l’ingenuità e la malafede possono convivere comodamente. Proviamo a fare chiarezza. Il punto centrale per chi va e per chi resta non è il Governo (tutti quelli che governano restano, a differenza di quelli che vanno e parlano di governo senza averlo mai praticato), non è neanche il rapporto dialettico e fecondo col Pd. Il punto vero è il giudizio sul governo Renzi. Qui stiamo, non altrove, qui rimaniamo nel presidiare una cultura che connette le parole alternativa e governo. Noi siamo all’opposizione di questo governo funambolico e aspiriamo a diventare maggioranza nella società per cambiare il segno di un esecutivo che persevera nelle politica di austerità e nella produzione di precarietà. L’unico minoritarismo visibile a occhio nudo è quello di chi si accoda, di chi dà credito alla rivoluzione passiva del premier, alla alla ricerca del capro espiatorio facile: sindacati, partiti, dipendenti pubblici, suffragio universale, autonomie locali.

Il merito di Renzi è quello di avere avuto il coraggio di rompere con il passo felpato della tradizione della responsabilità nazionale catto-comunista. Anche se non c’è alcuna modernità nella riproposizione del corporativo partito della Nazione, soprattutto se si vota per l’Europa, soprattutto al tempo della globalizzazione senza più aggettivi. Il renzismo sfonda e permea di pensiero unico/semplice del fare persino gli accampamenti della sinistra. E non sarà un fenomeno di breve periodo. Renzi è rassicurante e massimizza la coppia speranza-paura di fronte ai processi sommari di Grillo. Sel, per salvarsi dal killeraggio di queste ore che punta a distruggerne la credibilità, dovrà utilizzare tutto il proprio orgoglio contro chi ha deciso a tavolino di azzerare questa piccola splendida realtà eterodossa. Su questo punto i minoritarismi intellettuali e quelli da Transatlantico si somigliano paurosamente. Sel dovrà soprattutto rilanciare ricollocando la propria proposta politica in un contesto sociale impoverito dalla crisi senza fine. Già dall’evento di mercoledì a Roma con Nichi Vendola, Pippo Civati, Curzio Maltese e Ida Dominijanni che, nella definizione degli interventi, rappresenta un annuncio di futuro.

L’unica Costituente possibile che Sel dovrebbe lanciare è quella di Sel medesima, della sua veloce autoriforma, della sua innovazione. Come è stato con le primarie, le fabbriche, i sindaci, i referendum, Italia bene comune. Certo dobbiamo con coraggio frequentare gli ambiti di discussione della lista Tsipras e lì dare battaglia. E mantenere aperta la ricerca di piattaforme comuni con tutti quelli che nel Pd non si arrendono all’idea di un partito-contenitore organizzato per supportare l’unica soggettività che ha legittimità ad esprimersi, il governo, cioè Renzi.

Sel deve interpretare il cambiamento, rompere con i meccanismi pattizi della conservazione e rilanciare sul piano di una piattaforma da far vivere a pieno nella società italiana. Giustizia sociale, reddito minimo, politiche industriali fondate sulla conversione ecologica, libertà e diritti delle persone ad autodeterminarsi. Giustizia, ecologia e libertà: intorno a queste tre categorie gira il nostro futuro. Con un occhio particolare alla potenza che dovrebbe assumere la dimensione ecologica nel discorso pubblico. E la capacità di tradurre queste aspirazioni di cambiamento in una proposta di governo giocata sul terreno della democrazia partecipata e non delle segreterie dei partiti.

A partire dalle prossime regionali e comunali, dal ruolo che potrebbero avere i nostri candidati nella costruzione del campo del centro sinistra. Come sta già facendo in Calabria Gianni Speranza, coalizione e primarie contro il partito unico degli affari. Pronti a ripartire dalle battaglie parlamentari e nelle strade contro il pareggio di bilancio in Costituzione. A far vivere il nostro spirito costituente nell’opposizione ad un governo che sembra mettere tutti d’accordo o quasi.

Noi tra l’anello del potere e la ricerca di reti, ponti, connessioni, pratiche democratiche, innovazione e cambiamento, continuiamo a non avere dubbi. Continuiamo a cercare la terra di mezzo, quella abitata dagli uomini, dare battaglia lì nella mischia. Perché la possibilità di potere può essere una straordinaria occasione per cambiare la porzione di mondo che abitiamo. Per governarlo così come è non c’è bisogno di noi, sono perfino in troppi quelli che vogliono cambiare tutto affinché nulla cambi.

* Sel, vicepresidente del Lazio