Salvini è sicuramente il Ministro dell’Interno più anti italiano che potesse capitare al Bel Paese. Il Ministro della Propaganda interviene ossessivamente sull’immigrazione con parole e discorsi d’odio.

Convinto, a ragione, che questo gli farà guadagnare sempre più consensi, producendo uno spostamento stabile della cultura degli italiani. Quel che è accaduto in questi anni è purtroppo un vero e proprio imbarbarimento culturale, una mutazione antropologica che Salvini ha contribuito a determinare, per raccoglierne i frutti.

Il suo obiettivo non è certamente fare l’interesse dell’Italia, quanto quello del suo partito.

Aumentare i consensi vuol dire consolidare il proprio potere, la propria carriera personale e la presenza del proprio partito nelle istituzioni. E quindi maggiori entrate, più soldi e potere. Un vero business fatto sulla pelle delle persone in cerca di protezione e più in generale degli stranieri presenti in Italia che stanno già pagando un caro prezzo, in termini di diritti negati e di razzismo, a causa del diffondersi di sentimenti di rancore e intolleranza nei loro confronti. Il business dell’immigrazione c’è, ma a incassare sono Salvini e la Lega.

Ed è facile dimostrare che le sue scelte non sono fatte per perseguire gli interessi dell’Italia, contro cui anzi provocano danni.

Pensiamo per esempio alla questione oggi al centro dell’attenzione dei media, dell’opinione pubblica e degli interventi ossessivi di Salvini: la distribuzione dei richiedenti asilo nei diversi Paesi europei.

Questa avviene in prevalenza, se non esclusivamente, sulla base del regolamento Dublino. Il Parlamento Europeo ha votato, il 16 novembre 2017, una riforma che introduce per la prima volta il principio che qualsiasi richiedente asilo arrivi in Grecia, Italia o Belgio è un richiedente asilo europeo. L’Unione europea deve farsi carico dell’accoglienza in conformità a un piano di ripartizione e di regole condivise. In questo modo il principio del Paese di primo approdo, tanto contestato anche da Salvini, sarebbe cancellato. Ebbene, Salvini e la Lega non hanno votato questa riforma che sicuramente conviene all’Italia, ma non evidentemente alla Lega, alleata con i peggiori governi e partiti di destra in Europa che di condivisione e accoglienza non vogliono proprio sentir parlare.

C’è un altro argomento che spiega bene quanto sia anti italiano l’approccio della Lega e di quanti ricorrono ad argomentazioni razziste per i loro interessi politici o personali.

La sottrazione di diritti, compresa l’aumentata difficoltà a raggiungere legalmente il nostro Paese, l’impossibilità di rivolgersi allo Stato per attraversare le frontiere (riduzione di diritti introdotta con la Bossi-Fini e che si è aggravata con le politiche di esternalizzazione delle frontiere portate avanti in tutta Europa, e non solo l’Italia, e non solo da questo governo ma anche dai precedenti, trasformando i governi Ue, di fatto, nei principali alleati dei trafficanti) rende le persone di origine straniera più ricattabili e più deboli.

Questo, nel mondo del lavoro, determina sfruttamento, fenomeni come il caporalato, nuove forme di schiavitù. Questa fragilità di una parte consistente dei lavoratori e delle lavoratrici produce inevitabilmente una generale riduzione di diritti, che riguarda tutti, e consente una consistente evasione fiscale e contributiva. In pratica, la riduzione dei diritti dei migranti, il primo dei comandamenti della destra leghista, va contro gli interessi di tutti noi (altro che «Prima gli italiani»).

La nostra storia, dal dopoguerra a oggi, è stata caratterizzata, non senza contraddizioni e battute d’arresto, da una serie di principi giuridici ed etici che davamo per assodati: i diritti umani, la tutela delle minoranze, il diritto alla difesa, la presunzione di innocenza, il principio di non discriminazione, l’uguaglianza sancita nell’articolo 3 della Costituzione. Principi forse mai completamente realizzati, ma il cui orizzonte era condiviso quasi da tutti. Oggi questi principi vengono demoliti progressivamente per interessi di parte.

Recuperare una cultura dei diritti non sarà facile.

Denunciare gli interessi personali di chi è protagonista di questo arretramento è il primo passo per farlo.

* Arci nazionale