Il ministro dell’informazione libanese George Kordahi si è dimesso ieri dal suo incarico. «Non accetterò di essere usato come un motivo per danneggiare il Libano e i nostri fratelli libanesi in Arabia saudita e nel Golfo». In un video Kordahi aveva bollato come «futile» l’azione saudita in Yemen contro la minoranza sciita Houthi, spalleggiata da Iran e Hezbollah, che «si è difesa da un attacco esterno».

Il video, in realtà precedente alla sua nomina il 10 settembre scorso, aveva cominciato a circolare verso fine ottobre, quando l’Arabia saudita, seguita a ruota da Emirati, Kuwait, Bahrain, Yemen, aveva dato inizio a una crisi diplomatica ritirando i propri ambasciatori e espellendo quelli libanesi. Bahrain e Emirati avevano anche chiesto ai propri cittadini di lasciare il Libano.

KORDAHI, IN QUOTA Marada, partito cristiano alleato di Hezbollah, giornalista in Libano fino alla guerra civile (1975-90), poi in Francia e in Inghilterra, torna in patria nel 2004 e diventa un famoso presentatore tv nel mondo arabo. Dal 2012 è il volto del Chi vuol esser milionario? regionale.

Nel 2011 accusa in un suo programma l’emittente Arab Tv di cospirare contro il regime siriano. È anche uomo d’affari e ha lanciato una sua linea di profumi e fragranze, la G.K.

Le dimissioni chieste da più parti per oltre un mese arrivano in coincidenza con la due giorni del presidente francese Macron nel Golfo. Ieri a Dubai è stato sottoscritto uno «storico contratto», come lo ha definito il ministro delle forze armate francesi Parly: 17 miliardi di euro con cui gli Emirati si impegnano all’acquisto di 80 jet di guerra Rafale e 12 elicotteri militari di fattura francese.

Macron ha colto l’occasione per annunciare una probabile soluzione imminente alla crisi diplomatica. Ancora una volta protagonista, come nel 2017, quando l’allora premier Hariri fu trattenuto contro la sua volontà a Riyadh, da dove accusò Iran e Hezbollah di egemonia in Medio Oriente e si dimise.

Solo la formale richiesta di Macron – Hariri è cittadino francese – gli permise di lasciare assieme alla famiglia il paese per la Francia. Le dimissioni furono poi ritirate.

Il blocco totale delle importazioni che i sauditi avevano cominciato già l’aprile scorso, quando un carico di captagon prodotto probabilmente nella valle libanese della Beqaa fu intercettato nel porto di Jeddah, e ora la crisi diplomatica sono atti politici che vogliono colpire direttamente Hezbollah e indirettamente l’Iran in un momento particolarmente delicato per il Libano.

La crisi economica sta letteralmente devastando il paese, la svalutazione della moneta ha portato al mercato nero il dollaro a 25mila lire, che al cambio ufficiale rimane a 1.507 lire. L’inflazione ha reso prodotti di qualunque genere proibitivi a chi non ha accesso al dollaro.

Scarseggiano le medicine che da un mese non sono più sussidiate, la benzina è arrivata a oltre 16mila lire al litro, un litro di latte a 30mila, un chilo di carne a 100mila. Uno stipendio statale è in media tra i due e i tre milioni di lire. È inoltre in atto la più massiccia diaspora dai tempi della guerra civile.

IL 27 MARZO SI TERRANNO le elezioni e la tensione è già altissima. Il 14 ottobre Beirut è tornata teatro di scontri a fuoco tra gruppi vicini al partito cristiano di estrema destra delle Forze libanesi e miliziani di Hezbollah e Amal: sette morti e una trentina di feriti.

Gli aiuti promessi dalla comunità internazionale non sono ancora arrivati, mentre sulla pelle dei libanesi si consuma una tragedia immane tra i soliti giochi di potere interni e internazionali.