È una guerra di cifre, soprattutto, quella già ingaggiata dal ministro della Difesa Mario Mauro, con un’unica mission: forzare il proseguimento del programma acquisti dei caccia bombardieri F35. E la pace, non tanto nel mondo quanto piuttosto tra le mura domestiche del governissimo, si allontana a passo di marcia.

La prima raffica è partita al mattino, durante l’audizione convocata dalle commissioni congiunte Difesa, Esteri e Politiche europee del Senato: «Si dice che se ci ritiriamo dal programma per i caccia F35 non avremo penali – ha affermato il ministro davanti ai senatori – Ma abbiamo già speso 3 miliardi e mezzo di euro per la portaerei Cavour che dovrebbe ospitare gli F35 a decollo verticale. Allora non capiremmo per quale ragione abbiamo speso quei soldi».

Impossibile rimanere seduti sulla sedia: abbiamo già speso 3,5 miliardi per adeguare una delle due portaerei europee (l’altra è la francese Charles de Gaulle) al trasporto dei Joint Strike Fighters di tipo B, quelli che ancora non abbiamo nemmeno comperato? E quali lavori sarebbero stati fatti, sulla portaerei? E quando, se la notizia di problemi legati all’atterraggio di questi costosi velivoli da guerra e della conseguente necessità di apportare significative modifiche al ponte di volo ha cominciato a circolare negli organi istituzionali britannici e americani e nei media (dallo U.S. Navy e dal National Audit Office fino alla rivista specializzata Aviation Week & Space Technology) solo pochi mesi fa? E come mai queste decisioni sono state prese senza alcun confronto col Parlamento e perfino prima del vertice europeo che a dicembre sarà dedicato al sistema integrato di difesa europeo?

A porre domande di questo genere sono stati soprattutto i parlamentari di Sel: «Se la nostra intenzione fosse stata quella di ritirarci dal programma F35, perché allora avremmo investito tre miliardi e mezzo di euro per l’adeguamento della portaerei Cavour, individuata proprio per la movimentazione dei suddetti aerei? – reagisce il senatore Massimo Cervellini, vicepresidente della Commissione Lavori Pubblici – Ci eravamo illusi, dopo un acceso confronto in sede di discussione della mozione sugli F35, che sulla questione della difesa nazionale fosse riconosciuta una volta per tutte la piena sovranità del Parlamento, rivendicata all’unanimità dagli interventi che si sono susseguiti in Aula».

Così in serata il ministero della Difesa emana una nota di precisazioni, che però rischia di aumentare la confusione: «La cifra indicata dal Ministro Mauro nel corso dell’Audizione non si riferisce all’adeguamento della portaerei Cavour – recita il comunicato di via XX Settembre – in quanto tali costi sono già compresi nella spesa del programma Jsf che ammonta, come già illustrato precedentemente in sede parlamentare, complessivamente a circa 12,1 mld di euro». Ma già su questo punto c’è qualcosa che non torna, se perfino uno come Luca Comellini, segretario del Partito per la tutela dei Diritti di Militari e Forze di polizia, che pure si dice «sorpreso dalla polemica innescata su questioni di lana caprina», invita a leggere «la tabella 11 allegata al Bilancio pluriennale di spesa per il triennio 2013-2015 dove si parla del costo complessivo di spesa per il programma di acquisto di 90 esemplari di F35 pari a 13,2 miliardi di euro circa».

Ma per smentire le affermazioni di Sel bollate come «infondate e fuorvianti», la nota di Palazzo Baracchini va oltre: «Si precisa, altresì, che la cifra di 3,5 miliardi si riferisce ai costi del sistema d’arma nel suo complesso, composto dalla piattaforma navale (circa 1,5 miliardi), dagli aeromobili e dal relativo sistema di supporto logistico previsti nel programma Jsf (circa 2 miliardi)».

Qui invece è utile scomodare i pacifisti: «È evidente che si sta parlando degli adeguamenti alla piattaforma che si resero necessari e sono stati effettuati per rendere la Cavour una vera portaerei – spiega Gianni Alioti, responsabile dell’ufficio internazionale Fim-Cisl – non di quelli necessari, secondo le ultime verifiche, per accogliere gli F35 di tipo B, i velivoli cioè che decollano verticalmente ma che non atterranno allo stesso modo, secondo recenti notizie. E perciò avrebbero bisogno di un ponte munito di sofisticati ingranaggi per permettere a questi caccia di atterrare». Si noti, inoltre, secondo quanto riportato dalle associazioni antimilitariste, che nell’aeroporto di Cameri attualmente si stanno assemblando sette F35 di tipo A, gli Strike Fighters a decollo convenzionale.

Le precisazioni ministeriali, dunque, non hanno convinto. E a reagire non è stata solo Sel. Nel pomeriggio è arrivata anche una nota congiunta dei deputati Pd Luigi Bobba, Federico Gelli e Giorgio Zanin: «Il ministro della Difesa Mario Mauro non può ogni settimana sfidare la sua maggioranza sulla questione degli F35». I democratici ricordano la mozione votata alla Camera solo qualche settimana fa, e aggiungono: «Affermare che abbiamo già speso 3,5 miliardi per ristrutturare la Cavour, in modo da predisporla ai nuovi aerei a decollo verticale, è un modo di mettere il Parlamento di fronte al fatto compiuto». Bobba, Gelli e Zanin citano poi «uno studio dello Iai – un istituto non certo sospetto di pacifismo – il quale ha evidenziato che un’integrazione delle forze armate dei paesi dell’Ue porterebbe per l’Italia ad un possibile risparmio di circa 8 miliardi sul bilancio della Difesa». Soldi che, concludono i deputati, «potrebbero essere invece utilizzati a sostenere le famiglie in difficoltà economica, a rifinanziare i fondi per le politiche sociali e soprattutto a consentire a tutti i giovani che lo chiedono di poter svolgere un periodo di servizio civile».