«In questi strani anni», sostiene Lorenzo Fontana che a forza di sparate omofobe e integraliste è diventato ministro della Repubblica – per quanto senza portafoglio e incapace fin qui di muovere un atto – «la legge Mancino si è trasformata in una sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano». Per questo vuole abolirla, e il desiderio era noto visto che Salvini lo ha ripetuto in tutti i comizi della campagna elettorale e la Lega ha anche tentato, invano, di raccogliere le firme per un referendum abrogativo contro la Mancino quattro anni fa. Ora però i leghisti sono al governo, e via social – Fontana ha scritto su facebook e Salvini ha reagito su twitter – dettano l’agenda se non delle iniziative concrete almeno della propaganda.

Il ministro della famiglia, in questo modo, conquista l’audience del pomeriggio estivo, anche più di quanto era riuscito a fare con le sue precedenti uscite anti gay.

In realtà dovessero contare solo sulla legge Mancino, i «globalisti» odiati da Fontana sarebbero spacciati. La legge che dal 1993 sanziona chi compie atti di violenza «per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» o diffonde «idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale» o infine «incita a commettere atti di discriminazione», è stata applicata dai giudici con mano assai leggera. Tanto che anche atti chiaramente riferiti all’ideologia neofascista – come il saluto romano e o l’esibizione della croce celtica – sono stati fatti rientrare nella più generale tutela della libertà di espressione. Anche le disposizioni che prevedono lo scioglimento delle formazioni neofascite – principio previsto dalla Costituzione e diventato applicabile con la legge Scelba nel 1952 – sono state messe in pratica assai raramente (un paio di casi) perché richiedono una sentenza di condanna passata in giudicato. La legge Mancino ha introdotto anche la possibilità di una «sospensione cautelare» di queste formazioni neofasciste prima della sentenza (mediante un richiamo alla legge Anselmi sulle logge segrete e solo in caso di episodi di violenza razzista), ma anche qui la scelta politica è stata quella di evitare di regalare il comodo ruolo di vittima ai gruppi dell’estrema destra con un seguito scarso.

Poi questi gruppi o i loro amici leghisti sono arrivati al governo. E non si sono dimenticati la battaglia per abolire la legge Mancino. Anche se per il momento resterà un desiderio.

Poco dopo l’uscita del ministro Fontana, infatti, al presidente del Consiglio Conte è stato spiegato che era indispensabile uno stop immediato. Preceduto di pochi minuti dal vicepresidente del Consiglio Di Maio – «l’abolizione della legge Mancino non nel contratto di governo» -, Conte ha detto che «gli strumenti legislativi che contrastano la propaganda e l’incitazione alla violenza e qualsiasi forma di discriminazione razziale, etnica e religiosa sono sacrosanti», chiudendo – almeno per il momento – il discorso. Matteo Salvini, che nel frattempo si era spinto a coprire il suo fedelissimo Fontana, confermando l’obiettivo leghista dell’abolizione «perché alle idee, anche le più strane, si risponde con le idee e non con le manette», è stato costretto a ripiegare sull’argomento che «l’abolizione della legge Mancino non è una priorità».

Lo stesso ministro dell’interno, del resto, per le sue uscite anti migranti è stato denunciato almeno in un caso recente per violazione della Mancino (da Roberto Speranza), mentre in passato era stato sottoposto a indagine per violazione di quella legge proprio su iniziativa di un ufficio del Viminale, che adesso guida. Se dal M5S sono arrivati chiari segnali di insofferenza verso l’iniziativa leghista – il presidente della camera Fico ha detto che la legge non si tocca, il sottosegretario Spadafora ha aggiunto che andrebbe casomai allargata contro l’omofobia – il capo leghista si è parimenti mostrato irritato per aver dovuto mordere il freno. E ai suoi ha dato indicazione di insistere. E così Fontana, in chiusura di giornata, con un video ha confermato tutto: «Non è una priorità del governo ma una riflessione sulla Mancino va fatta, non è uno strumento per combattere il razzismo ma per fare propaganda ideologica». Propaganda senz’altro. a. fab.