Che il vertice sulla manovra di lunedì fosse stato poco pacifico e per nulla risolutivo lo si era capito subito. Gli sforzi per dissimulare il braccio di ferro in corso nel governo proseguono, ma è un velo sempre più sottile che non riesce a mascherare le tensioni e i dissensi. Il ministro Tria, intervenendo al Forum Bloomberg in mattinata, aveva provato per l’ennesima volta a chiudere la partita: «Le misure nella legge di bilancio non cambieranno l’impegno del governo sulla riduzione del debito».

È QUEL CHE AVEVA RIPETUTO il giorno prima a Salvini, Di Maio e Giorgetti: il deficit non può andare oltre l’1,6%, «altrimenti i mercati ce la faranno pagare». Vuol dire che nella legge di bilancio si potrà fare pochissimo, e non solo per quanto riguarda le due riforme di bandiera dei partiti di maggioranza, reddito di cittadinanza e Flat Tax. Porta chiusa anche alle richieste della ministra Grillo, che insisteva per un abbassamento dei ticket su farmaci e diagnostica. Ma soprattutto portone blindato per la revisione della riforma Fornero, che non solo renderebbe impossibile tenersi sotto la soglia fissata da Tria, anche in caso di finanziamento parziale da parte delle aziende, ma creerebbe un problema politico di prima grandezza con Bruxelles e con la Bce. La formula che propone il ministro passa per una diminuzione del carico fiscale per la classe media «anche oltre la Flat Tax» con una «imposta sul reddito personale» e sul recuperare investimenti pubblici rispetto agli ultimi anni, ma senza scossoni nel rapporto con la Ue. Tiepido il commento sul reddito di citatdinanza: «Bisogna risolvere i problemi che portano al bisogno di questo reddito».

TRIA HA DECISO DI CONFERMARE pubblicamente la sua linea, in parte anche per rassicurare i mercati che sul tema hanno sempre le antenne ipersensibili, pur essendo perfettamente consapevole del malumore soprattutto di Di Maio, tanto forte da autorizzare pettegolezzi su una sua richiesta di dimissioni del titolare dell’Economia. «Nessuna richiesta di dimissioni», smentisce Di Maio. Poi però va all’attacco e senza alcuna diplomazia: «Però pretendo che il ministro dell’Economia di un governo del cambiamento trovi i soldi per gli italiani che al momento sono in grande difficoltà. Lo Stato non li può lasciare soli. Un ministro serio i soldi li deve trovare». Parole pesantissime.

IN PARTICOLARE DI MAIO insiste sull’aumento delle pensioni di cittadinanza da 400 a 780 euro, misura che piace poco anche alla Lega, tanto che il «consigliere economico» Brambilla la ha definita «una follia», ma che i 5S considerano fondamentale per dare un segnale immediato e ridurre lo scarto in termini di consenso a favore del Carroccio. In realtà alla Lega la linea dura di Tria, che appare a ragion veduta dettata dal dikat europeo, piace tanto poco quanto agli alleati. Lo stile però è diverso. Il Carroccio non sbatte i pugni sul tavolo. Non critica il ministro. In compenso fa sapere che procede come se nulla fosse sulla strada della revisione della Fornero. «La nostra priorità era ed è restituire la pensione a milioni di italiani: stiamo lavorando per questo», twitta Salvini. I suoi collaboratori fanno trapelare la determinazione a non mollare su quota 100, sia pure piazzando parecchi paletti per rendere la revisionemeno onerosa. Diplomatico come sempre il sottosegretario Giorgetti: «Il parametro sul rapporto deficit/pil viene dopo. Prima bisogna varare misure intelligenti. Poi si vedrà». Anche il presidente della commissione Finanze del Senato Bagnai va leggero su Tria che sta «cercando una mediazione tecnica tra posizioni politiche» ma sostiene l’intemerata di Di Maio: «Solleva un’esigenza sacrosanta».

BAGNAI DIFENDE anche il reddito di cittadinanza che «non sarà assistenziale». I due partiti di governo hanno anche trovato l’intesa sulle «pensioni d’oro»: verranno considerate tali quelle dai 4.500 euro netti al mese in su. Gli attriti e le distanze dei giorni scorsi, da quella sulle pensioni di cittadinanza a quella sul condono ribattezzato «pace fiscale», non sono scomparse. Ma al momento l’importante è fare fronte comune per costringere Tria a cedere e portare il deficit almeno al 2,2%. Checché ne pensi l’Europa.