Almaviva torna sotto i riflettori. Ieri il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda è intervenuto per bloccare 65 trasferimenti dalla sede di Milano a quella di Rende, in Calabria, accusando che «si configurerebbero come un licenziamento, seppure mascherato». Il colosso dei call center ha replicato accettando di «sospendere le misure finora adottate», «in attesa dell’incontro in sede ministeriale, previsto nei prossimi giorni, per la necessaria definizione di un’intesa che garantisca l’indispensabile equilibrio del sito produttivo».

Ma cosa ha sconvolto l’«equilibrio» di Almaviva Milano – 500 dipendenti – mai toccata finora dalla crisi che nell’inverno scorso aveva portato alla chiusura del sito romano con 1.666 licenziamenti? E perché si è arrivati qualche giorno fa a imporre il trasferimento dal nord al sud della penisola di 65 persone? L’azienda ha sempre citato Milano come fiore all’occhiello, insieme a Rende e Catania, ma l’estate scorsa un’importante commessa – dell’Eni – è venuta mancare, determinando secondo la stessa Almaviva «una riduzione pari al 25% delle attività», e così «generando una condizione di esubero del personale e di non equilibrio del centro produttivo» .

Come gestire questo ammanco? Eni, secondo quanto spiegano da Almaviva, ha internalizzato questo pezzo di call center gestito già da nove anni dal gruppo di outsourcing, quindi il personale, in assenza di nuovi bandi di gara, non sarebbe stato ricollocabile neanche attraverso la clausola sociale. La soluzione prospettata è stata dunque quella di ridurre i costi del lavoro – magari per un periodo ponte – così come era già avvenuto con gli accordi siglati da Palermo e Napoli, e rifiutati però da Roma.

A raccontarci le trattative è Francesco Aufieri, segretario generale Slc Cgil di Milano: «Almaviva ha convocato le Rsu e ha spiegato che, visto il grosso buco causato dall’addio di Eni, per salvare tutto il sito bisognava accettare accordi simili a quelli di Palermo e Napoli». «In entrambe le intese – prosegue il sindacalista – i lavoratori hanno accettato di non vedersi erogati gli scatti di anzianità e il tfr, per la durata di 3 anni a Napoli e per un anno e mezzo a Palermo. In più, la sede napoletana ha anche dato l’ok a un sistema di telecontrollo che noi riteniamo insostenibile».

I milanesi rifiutano di trattare su scatti e tfr, ma alla fine un’ipotesi di accordo viene accettata dalla maggioranza delle Rsu, della Fistel Cisl: «Sì al telecontrollo, peraltro non a tempo ma per sempre, e per tre anni mano libera su gestione di rol, straordinari sostituiti con banca ore e altre flessibilità», spiega Aufieri della Cgil. Slc Cgil e Uilcom non firmano e chiedono un referendum: si è svolto lunedì scorso e ha rigettato l’accordo con il 75% di no. L’indomani, martedì, sono partite le 65 lettere di trasferimento, da effettuare in sole tre settimane, per finire dall’altra parte dell’Italia entro il 3 novembre: «Anche a donne in maternità e personale in 104», secondo il segretario Slc Cgil.

Venerdì uno sciopero molto partecipato ha riacceso i riflettori su Almaviva, e così ieri Calenda ha chiesto di sospendere i trasferimenti in attesa di un incontro tra azienda e sindacati che verrà convocato a breve al ministero dello Sviluppo.