La polizia italiana ha addestrato tra il 2018 e il 2019 agenti egiziani. Lo ha fatto in Sardegna, nel Centro di addestramento e istruzione professionale di Abbasanta. Ad autorizzare i corsi di formazione sono stati due diversi governi, quello Gentiloni e il Conte 1.

La notizia, riportata ieri su queste pagine da Antonio Mazzeo, apre a considerazioni dirimenti nella battaglia per la verità e la giustizia per Giulio Regeni, rapito, torturato e ucciso al Cairo tra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016.

Nel 2018 e nel 2019 il quadro delle responsabilità era già chiaro: non solo avevamo assistito ai palesi depistaggi messi in atto dal regime già nel marzo 2016 (l’uccisione di cinque egiziani innocenti), ma nel dicembre 2018 la Procura di Roma aveva iscritto nel registro degli indagati cinque funzionari della Nsa, la temibile National Security Agency.

Nata dalle ceneri dei servizi attivi sotto Mubarak, Ssis, ne è diventata la riedizione, se possibile ancora più brutale. Non lupi solitari o mele marce, ma figure centrali della macchina statale di controllo e repressione, gestita dal ministero degli Interni del Cairo. Lo stesso che, come avviene da noi, soprintende alla polizia addestrata in provincia di Oristano.

Fino al giugno 2018 a capo di quel ministero – pachiderma da 1,5 milioni di dipendenti, tra poliziotti, agenti dei servizi e informatori – c’era il potentissimo Magdy Abdel Ghaffar, 31 anni nel Ssis e campione di bugie sulla morte di Regeni: cinque giorni dopo il ritrovamento del corpo disse che non era mai stato arrestato né seguito dai servizi («Questa è la mia ultima parola sulla questione: non è successo»), per poi annunciare con il famoso vassoio d’argento la risoluzione del caso, nel sangue dei cinque egiziani. Un’altra bugia.

Non dovesse bastare il ruolo del ministero degli interni nell’omicidio e il depistaggio, ricordiamo quello che ha ogni giorno sulla vita di cento milioni di egiziani. Controlla, spia, accusa, tortura, uccide.

In stretto contatto con l’altro braccio della repressione interna, la Procura suprema per la sicurezza dello Stato (Sssp), ha costruito un sistema oliato ed efficace: l’Nsa indaga in modo indipendente o su richiesta della Procura oppositori veri o presunti; la Sssp, creata nel 1953, l’anno successivo al colpo di stato degli Ufficiali liberi contro re Faruq, riceve i fascicoli o ne apre di propri su tutto ciò che considera minaccia alla sicurezza: terrorismo sì (concetto «elastico» sotto il regime di al-Sisi), ma anche proteste, scioperi, post sui social.

È con questa serrata attività che le carceri si sono riempite di 60mila prigionieri politici. Arrestati, a volte fatti sparire, dalla polizia che l’Italia ha ritenuto meritevole di addestramento.