Lo sport per dividere l’opinione pubblica, per attrarre consensi in vista delle primarie repubblicane. Donald Trump, il palazzinaro di New York, si è infilato a modo suo nell’universo sportivo americano, da sempre serbatoio di preferenze per i candidati alla Casa Bianca. Barack Obama per il suo primo mandato aveva ricevuto l’endorsement di Lebron James, Magic Johnson, altre stelle Nba e Nfl che spostano considerevoli pacchetti di preferenze, tra tweet e post su Facebook. Il milionario della tv dai capelli platinati, segnalato dai sondaggi ancora avanti a tutti tra i candidati rep, in attesa del confronto televisivo del prossimo 16 settembre sulla Cnn qualche giorno fa invece si impegnava a offendere Kareem Abdul Jabbar, definito «un uomo che non ha la più pallida idea della vita e di cosa vada fatto per rifare grande l’America».

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Kareem Abdul Jabbar oggi

La leggenda dei Los Angeles Lakers degli anni Ottanta, dello showtime assieme a Magic Johnson con Pat Riley in panchina, venerabile maestro del basket e sostenitore democrat di Bernie Sanders dopo aver tirato anche lui la volata a Barack Obama nel 2008, sul Washington Post aveva criticato Trump – per lui non degno di essere in lizza per primarie repubblicane, figurarsi per la White House -, per il trattamento riservato alla giornalista di Fox News Megyn Kelly (offesa più volte via Twitter dopo il primo dibattito tv tra candidati rep in cui aveva chiesto a Trump perché aveva definito in passato le donne «scrofe grasse, cagne, sporche e animali») e al collega della tv spagnola Univision, cacciato da una conferenza stampa per averlo incalzato sulla questione immigrati, per poi riammetterlo: era finito nella breaking news della Cnn.

Prima dell’affaire Jabbar, Trump aveva già messo le mani nello sport per tirar via qualche voto, o meglio recuperarne qualcuno, nonostante i recenti sondaggi che pare non reputino indispensabile il voto dei latinos nella corsa prima alle primarie repubblicane, poi alla Casa Bianca. Stavolta niente basket, ma il calcio. In pieno agosto finiva sui quotidiani e sui siti americani la notizia della sua possibile scalata a un club colombiano. Non il Nacional Millionarios, forse pure più adatto alle sue profonde tasche ma i rivali dell’Atletico Nacional, 14 campionati vinti, una Copa Libertadores, qualche calciatore di livello venuto in Europa (come l’attaccante ex Aston Villa Juan Pablo Angel). Cento milioni di dollari l’assegno preparato dallo stesso Trump, il suo socio sarebbe stato il controverso manager italiano Alessandro Proto, finito nei guai con la giustizia negli scorsi anni. Offerta respinta con perdite per i due, con lo staff di Trump che segnalava l’interesse per altri club colombiani.

Pochi giorni prima era arrivata la sua tirata razzista sugli immigrati messicani, quelli che varcano il confine, «criminali, trafficanti di droga e stupratori», che tolgono il posto di lavoro agli americani, il suo cavallo di battaglia elettorale. Addirittura i vertici del Partito repubblicano – che in passato non si sono segnalati per tolleranza in tema di diversità razziale – manifestavano preoccupazione per le parole di Trump, in quel momento lanciatissimo verso le primarie del Grand Old Party. Quindi il presunto interesse per il club colombiano, senza dimenticare che la Reuters lo avrebbe smascherato pochi giorni dopo, segnalando che le aziende del milionario avevano richiesto oltre mille visti negli ultimi anni per immigrati da inserire nelle sue aziende. Cuochi, camerieri con visto temporaneo.

E dopo il fallito aggancio al calcio colombiano, Trump nei giorni scorsi avrebbe piazzato nel mirino il San Lorenzo, il club argentino di Buenos Aires che fa battere il cuore di Papa Francesco, per flirtare con una grossa fetta dell’elettorato cattolico statunitense. Il candidato alla Covention repubblicana smentiva la notizia – riportata dal New York Post – ma di sicuro potrebbe discuterne con lo stesso Pontefice, in visita ufficiale negli Stati Uniti dal 22 al 27 settembre. Temi: difesa dell’ambiente, immigrazione, disuguaglianza economica. Per Trump, che non conosce neppure la differenza tra Hamas e Hezbollah, forse meglio davvero parlare di calcio.