La manna, da misterioso alimento che nutrì nel deserto Mosè e il suo popolo a prezioso prodotto della natura nei territori di Pollina e Castelbuono, comuni delle Madonie in provincia di Palermo.

Invocata ed evocata come prodotto del cielo, la manna in Sicilia scende dagli alberi. Ci sono piante di cui si sa poco, conducono una vita appartata e vivono soltanto in zone con particolari condizioni di clima e di suolo. L’albero della manna, un frassino che produce una linfa con caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche straordinarie, appartiene a questa categoria. Un albero della salute che, secondo una antica credenza popolare, produce una linfa così particolare grazie al canto delle cicale.

Il termine manna deriva dall’ ebraico man hu, «cosa è?», la domanda che si posero nel deserto vedendo una sostanza scendere dal cielo. Sono numerose le specie vegetali in grado di produrre sostanze zuccherine, ma solo il Fraxinus ornus (Orniello o frassino da manna) produce questa linfa elaborata costituita per il 50% da mannitolo.

La misteriosa manna biblica non doveva essere molto diversa, una sostanza zuccherina prodotta da arbusti del deserto e utilizzata come alimento energetico dalle popolazioni che lo dovevano attraversare. La produzione di manna in Sicilia si fa risalire al IX-X secolo, ai tempi della presenza araba. In un documento del vescovo di Messina del 1080 c’è un riferimento a questo prodotto. Dalla Sicilia la pianta della manna si è diffusa in altre zone della penisola che presentano un clima caldo e asciutto e terreni calcarei.

L’umanista Piero Del Riccio nel 1505 parlava della manna prodotta in Calabria nei territori di Locri e Sibari. Il commercio doveva avere un certo rilievo se, a metà del 1500, nel regno di Napoli si era arrivati a imporre un dazio sul prodotto. La manna era richiesta per le sue molteplici proprietà benefiche: medicamento per la cura delle affezioni della gola e dei bronchi, blando lassativo, trattamento delle pelli sensibili in cosmetica, dolcificante in pasticceria.

Fino a metà del 1900 la manna ha rappresentato una voce importante nell’economia di alcuni territori siciliani e calabresi. Si calcola che all’inizio del ‘900 fossero circa 6 mila gli ettari di frassino coltivati in Sicilia per produrre manna. Il declino della coltivazione del frassino da manna inizia quando si sviluppa la produzione industriale di mannitolo, con un calo della domanda del prodotto naturale.

Attualmente, nell’area collinare delle Madonie sono 250 gli ettari in cui il frassino è ancora presente con un centinaio di mannicoltori che continuano a estrarre con dedizione il «miele di rugiada», come veniva chiamata la manna nell’antichità. In questo particolare territorio i coltivatori salvaguardano i frassini e in cambio ottengono la preziosa linfa. Si tratta per lo più di anziani contadini che impediscono la scomparsa di questo patrimonio vegetale. Sono due le antiche varietà di frassino che consentono di produrre manna, l’ornus e l’angustifolia. Il primo, che produce una linfa più cristallina ma in quantità ridotta, prevale nel territorio di Pollina, il secondo, più produttivo ma con qualità inferiore, prevale nel territorio di Castelbuono. Negli ultimi decenni i coltivatori hanno introdotto una nuova varietà, il verdello, che consente di avere rese più elevate e di ottima qualità.

L’attività di raccolta si svolge nei mesi estivi, da metà luglio a metà settembre, quando le piante producono molta linfa come reazione alla scarsa disponibilità di acqua nel terreno. Con un particolare coltello a forma di mezzaluna, il mannaruolo, vengono praticate delle incisioni sulla corteccia dei frassini da cui uscirà la linfa che solidifica a contatto dell’aria calda dell’estate. Dopo la raccolta viene messa ad asciugare per 24 mesi per abbassare il grado di umidità e poi conservata in ambiente asciutto.

Giulio Gerardi è un mannicoltore che ha inventato un particolare sistema che ha rivoluzionato la tecnica di raccolta. Nel suo libro, Vivere di manna. All’ombra dell’albero della vita (Editore Arianna, 2015), Giulio Gerardi illustra le tradizioni legate alla produzione e alla raccolta della linfa.

A Pollina si trova il Museo della manna, aperto nel 2011, che vuole custodire la tradizione e la storia di un prodotto unico al mondo, con le sue tecniche di produzione e raccolta, gli attrezzi usati. Il Museo è gestito da Franco Raimondo, impiegato del Parco delle Madonie che in questi anni si è dedicato con grande impegno a tenere viva la memoria della produzione della manna, anche con una riproposizione delle testimonianze orali della tradizione.

Ci racconta come vengono organizzate le attività all’interno del Museo che ha riaperto lo scorso 10 giugno e le visite guidate ai campi dimostrativi per osservare come avviene l’incisione degli alberi e come viene effettuata la raccolta della linfa. Ci dice con orgoglio che nel 2018 sono stati 7.200 i visitatori che hanno visitato il Museo e seguito le attività dimostrative.

A partire dal 2002 la manna delle Madonie è riconosciuta come presidio Slow Food. Inserita nell’Arca del gusto è indicata tra i prodotti da salvare. Il progetto «Manna eletta delle Madonie» che riunisce un centinaio di mannicoltori ha stabilito un disciplinare di produzione per ottenere un prodotto di qualità e garantirne la provenienza.
Il Ministero delle politiche agricole e forestali lo riconosce come prodotto agroalimentare tradizionale. Il prossimo settembre, se la situazione sanitaria lo consentirà, è prevista a Pollina la XXXIII edizione della sagra della manna per difenderne la produzione e far sopravvivere l’antico mestiere di raccoglitore della manna. Ma c’è anche la necessità di salvaguardare una pianta che ha una grande importanza da un punto di vista ambientale perché ha una notevole capacità di adattamento ai climi secchi e ai terreni aridi e può rappresentare una soluzione per il rimboschimento di aree che presentano queste caratteristiche.