Capolavoro, proprio così con la o nera a sporcare la parola in rosso in copertina, per dare il giusto risalto al significato del titolo del nuovo lavoro di Pino Marino, il quarto a suo nome che arriva dopo dieci anni di «latitanza» solista. Ma in mezzo sono successe molte altre cose. Capolavoro dicevamo: «Che non è altro – spiega il quarantottenne artista romano – se non mettere a capo il lavoro di nuovo. Se non mettiamo il lavoro a capo delle nostre cose non ne veniamo fuori, anche l’arte non può più compiere il suo capolavoro se prima non torna a essere lavoro. Soltanto generando lavoro anche nell’arte si ottiene il processo di capolavoro». Uno scioglilingua assai efficace con cui Marino prova a spiegare come il mestiere dell’artista – per dirla alla Ciampi – sia un processo, lungo faticoso ma soprattutto deve essere «collettivo».

Pino ci prova da tempo, prima portando negli ottanta la sua musica nei locali capitolini, partendo dallo storico Folkstudio e approdando anche a collaborazioni decisamente pop insieme a Maurizio Fabrizio. E arrivano anche i lavori da solo, il primo album Dispari (2000) con il quale ottiene il Premio Ciampi, tre anni dopo Non bastano i fiori e nel 2005 Acqua e luce e gas. Poi smette il nome in ditta, come si dice in gergo, e si dedica a una quantità di innumerevole progetti. «Mi sono occupato negli ultimi sette anni di molte cose, soprattutto spettacoli che ho scritto per me e per altri. E questo mi ha permesso di andare in giro e incontrare persone, a prescindere da ogni attività promozionale. Cito quello con Daniele Silvestri – E l’inizio arrivò in coda, uno spettacolo classico ma con una meccanica coinvolgente in cui credo siamo riusciti insieme ad abbattere un po’ gli argini del meccanismo della musica leggera, un po’ stantio».

Capolavoro (Altipiani/distr. Audioglobe), undici canzoni di pura poesia acustica appena contaminata da qualche elemento di elettronica: «Oggi è cambiato tutto e l’oggetto disco è diventato di fatto una particella dell’intero settore, come una fotografia che fissa un particolare momento artistico e prepara al passo successivo». Compositore, autore, regista, pianista e chitarrista, Marino è personalità dalle mille sfaccettature. I pezzi dell’album sono – parole dell’artista che per l’occasione si fa poeta: «Una rassegna di tuffi, una raccolta di briciole in cui ciascuna trattiene in sé l’intero. Alla forma compiuta da cui provengono, capita spesso la sorte di un capoverso. Dimenticare il pane è un guasto, saperlo fare è un privilegio, come l’amore non basta a se stesso, va diviso al pasto e mangiato in tempo». Già, la condivisione i dieci anni che intercorrono fra gli ultimi due album di Pino lo hanno visto tra i fondatori del romano Collettivo Angelo Mai e del Collettivo del Pane. «Ma prima c’è stata l’esperienza importante con l’Orchestra di piazza Vittorio. Nata da un’urgenza, quella di trattenere musicisti, fargli un contratto per evitare che venissero espulsi».

L’importanza del confronto con altri artisti è fondamentale: «Il processo del collettivo regala a chi lo vuole la possibilità di retrocedere di qualche metro con il proprio nome per avanzare di parecchi metri con un progetto comune». Sono esperienze che ha vissuto a Roma: «Una città strangolata da vincoli, da poteri palazzinari e economici che di fatto impedisce a chiunque di poterla amministrare correttamente». Il tour di sostegno a Capolavoro è costruito a più livelli: «Ho previsto diverse situazioni, da solo, in duo fino a otto musicisti. Ma sarà scritto sempre in maniera diversa, in modo che possa funzionare dal piccolo spazio all’Arcimboldi di Milano…».