Delle circa 5mila persone che si sono unite alla carovana di migranti partita dall’Honduras il 15 gennaio, saranno molto poche ad arrivare a destinazione. Rispetto alla prima storica carovana del 2018, infatti, qualcosa è cambiato, e decisamente in peggio: l’entrata in vigore degli accordi migratori degli Stati uniti con il Messico e con i paesi centroamericani, finalizzati a ridurre il flusso di migranti in fuga dalla violenza e dalla povertà estreme dei rispettivi paesi, peraltro mantenute e alimentate proprio dalle politiche Usa, come indica in maniera esemplare il caso dell’Honduras.

Accettando di fare il lavoro sporco per conto degli Stati uniti, il governo di Andrés Manuel López Obrador ha infatti eretto non un muro di cemento come quello caro a Trump, ma un’altrettanto impenetrabile barriera militare.

E così sono già 679 i migranti che l’Instituto Nacional de Migración ha provveduto a rispedire nell’inferno honduregno, 439 in aereo e 240 in pullman. E molti altri potranno essere rimpatriati nei prossimi giorni, come ha informato il ministro degli Esteri Marcelo Ebrard, l’”eroe” dell’accordo che a giugno ha scongiurato l’entrata in vigore dei dazi Usa su tutti i prodotti messicani, in cambio dell’abbandono dell’originario approccio umanitario di Amlo alla questione migratoria. Uomo di parola, peraltro, il ministro Ebrard: aveva garantito al presidente guatemalteco Alejandro Giammattei che ci avrebbe pensato lui a fermare la carovana e così ha fatto, nel nome ovviamente di una migrazione «sicura, ordinata e regolare» – con tanto di offerta ai migranti di 4mila posti di lavoro nel sud del Messico – e, soprattutto, «senza violare i diritti umani». «Noi non siamo come i conservatori», ha assicurato López Obrador, escludendo ogni tipo di repressione.

Non la pensano così, però, il Movimiento de los Trabajadores Socialistas (messicano) e Left Voice (statunitense), che denunciano congiuntamente la deportazione dal Messico, da dicembre, di 80.500 migranti e la permanenza in affollatissimi centri di detenzione di chi non è stato rimpatriato. «Ciò non impedirà la migrazione, ma, di sicuro, la renderà ancora più terribile e rischiosa per quanti saranno obbligati ad abbandonare i loro luoghi di origine». Da parte loro, i migranti ce l’hanno messa tutta per riuscire a passare, approfittando del basso livello del fiume Suchiate per attraversare la frontiera, ma si sono trovati di fronte alla Guardia Nacional, che di certo non è andata per il sottile: «Ci sono state serie violazioni dei diritti umani», ha denunciato Luis Villagran, coordinatore del Centro de Dignificación Humana di Tapachula. Ma, ha garantito Amlo, si è trattato solo di un «caso isolato».

Ad esultare è naturalmente il governo Trump: da quando gli Usa hanno iniziato a rispedire i richiedenti asilo in Messico e in Guatemala, le detenzioni alla frontiera con l’Arizona hanno registrato un crollo, dalle 14mila persone del maggio scorso a una media di 800 migranti al mese da ottobre ad oggi.