«Non ci siamo tutti, ne mancano 43». La scritta spicca sulle magliette dei manifestanti. Di fronte, un imponente schieramento della Polizia militare in tenuta antisommossa. I dimostranti avanzano, cercano di passare: tentano di entrare in una caserma dell’esercito a Iguala, nello stato messicano del Guerrero. I militari caricano, sparano lacrimogeni, ci sono fermi e 4 feriti. Ma la mobilitazione non si ferma. I manifestanti chiedono di ispezionare tutti i presidi militari della regione: per cercare tracce dei 43 ragazzi scomparsi a Iguala tra il 26 e il 27 settembre scorso.

Allora, un gruppo di studenti normalistas, appartenenti alle combattive scuole rurali messicane, stava raccogliendo fondi per una manifestazione che si sarebbe tenuta nei giorni successivi. Venne però violentemente attaccato dalla polizia locale e dai narcotrafficanti. Il bilancio fu di oltre 25 feriti e un numero imprecisato di scomparsi: inizialmente si pensò a 58 ragazzi, poi risultati 43, in maggioranza iscritti alla Normal Rural di Ayotzinapa. Una vicenda che ha commosso il mondo e scosso nel profondo la società messicana, e che ha mostrato la faccia nascosta di un paese costellato di cimiteri clandestini. In una delle tante fosse comuni scoperte durante la ricerca dei 43, sono stati rinvenuti resti carbonizzati: appartenenti – secondo le confessioni di alcuni narcos – agli studenti, che sarebbero stati uccisi e bruciati nella discarica di Cucula. Il laboratorio austriaco specializzato in questo genere di ricerche ha identificato i resti di Alexander Mora Venancio, uno dei 43. La famiglia e il gruppo di esperti argentini indipendenti che seguono il caso, dubitano però della versione della magistratura: le ossa – dicono – sono state consegnate al laboratorio in un sacco nero, potrebbero essere state prelevate altrove. Inoltre – rilevano – sarebbe stato impossibile bruciare in quel modo 43 persone senza lasciare tracce. E si cerca ancora.

Sulla spinta delle ripetute mobilitazioni, la denuncia dei famigliari ha cominciato a farsi strada: i ragazzi potrebbero essere scomparsi nelle caserme militari. All’inizio dell’anno, questa ipotesi è stata presa in considerazione dalla magistratura, e anche su questa base famigliari e movimenti, accompagnati dalla cittadinanza e dai gruppi di autodifesa comunitaria, hanno preso l’iniziativa di ispezionare le caserme. Al contempo, però, hanno riannodato il dialogo con il governo e partecipato a un nuovo incontro con le autorità, presentando la loro richiesta: poter entrare nelle caserme militari.

La magistratura ha diffuso il bilancio dell’inchiesta: finora ha emesso 221 mandati di arresto per diversi delitti e in carcere per il massacro di Iguala si trovano 97 persone tra poliziotti e narcotrafficanti, sia di Iguala che di Cocula. Sono state interrogate 380 persone, tra loro vi sono 36 militari, ma nessuno risulta imputato. «Le caserme sono aperte ai cittadini, ma l’ingresso dovrà avvenire in modo ordinato e nel rispetto delle istituzioni», ha fatto sapere la Procura. Come mandante del massacro di Iguala e della scomparsa degli studenti, martedì è stato ufficialmente accusato l’ex sindaco di Iguala Luis Abarca, detenuto da novembre in un carcere di massima sicurezza. La moglie, Maria de los Angeles Pineda, sorella di narcotrafficanti dei Guerreros Unidos e a sua volta detenuta, lunedì è stata accusata di associazione per delinquere e possesso di denaro sporco.

Due pedine di un meccanismo che travalica gli interessi locali e che chiama in causa l’intero sistema di governo del paese mostrandone la profonda crisi. Nello scorso anno, sono stati sequestrati e fatti scomparire 19 professori e altri sono stati assassinati all’inizio del 2015. Studenti e maestri delle zone rurali e dei quartieri poveri subiscono il doppio ricatto delle organizzazioni criminali innervate al potere e quello delle politiche neoliberiste portate avanti dal governo di Enrique Peña Nieto.

Il Messico è al centro dell’asse che sostiene un altro indirizzo da quello intrapreso dall’America latina progressista e dai paesi socialisti del continente. Recentemente, Nieto si è recato negli Stati uniti per ridefinire nuovi accordi commerciali all’interno dell’Alleanza del Pacifico, che si propone di accerchiare le politiche dell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, guidata da Cuba e Venezuela e di contenere l’avanzata commerciale della Cina nella regione.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno presentato al Congresso Usa una petizione per chiedere a Obama di «non inviare più armi» a un governo che le usa per reprimere gli studenti e farli scomparire.