Theresa May prova a tenersi a galla, ma il mare è in procella. Martedì aveva avuto colloqui con il Dup, mentre ieri ha incontrato, com’è ovvio separatamente, gli altri partitelli nord-irlandesi allo scopo di contenere gli alleati: il Sinn Fèin di Gerry Adams, gli unionisti dell’Uup, i liberali centristi di Alliance e i laburisti del Sdlp. L’accordo per un governo di minoranza con il Dup doveva essere annunciato già mercoledì, ma la tragedia di Grenfell ha imposto un rinvio. Pur di restare a Downing Street, la premier è comunque determinata ad andare avanti nonostante il processo di pace nordirlandese rischi di andare in frantumi. I repubblicani irlandesi non vogliono come mediatore una parte a sua volta in causa come il governo inglese Tory, di cui il Dup è poco meno di un’appendice oltranzista. A sottolineare la modernità dei nuovi alleati di May intanto ci pensa la Corte suprema, che ha respinto un appello che avrebbe dovuto consentire a cittadine nordirlandesi di terminare la propria gravidanza gratuitamente in Inghilterra. Il tutto mentre ticchetta uno dei tanti orologi della premier: l’accordo di condivisione dei poteri al parlamento di Stormont dovrebbe essere finalizzato fra due settimane. Un altro è quello dei negoziati della British Exit, per ora ancora fissato a lunedì prossimo.

Intanto quel tableau vivant che è il Queen Speech, la cerimonia di apertura del parlamento, è stata fissata per mercoledì prossimo. Dopo un rinvio gustosamente giustificato con i lunghi tempi di essiccazione della pergamena su cui è scritto il programma di governo letto dalla monarca – in realtà dovuto alla difficoltà di accontentare i nordirlandesi – il governo dovrebbe insediarsi. Ma la cerimonia per questo governicchio sarà appropriatamente sobria. Niente diademi da cervicale, carrozze Ferrero Rocher e unicorni, ermellini, spade nella roccia e nemmeno ordini delle giarrettiere. Ufficialmente per la prossimità con altri appuntamenti scenografici come il compleanno costituzionale, Ascot e la parata Trooping the Colour: in realtà perché è inutile tanta magna pompa per un governo nato barcollante, e poi perché dopo tutte queste tragedie nel Paese non c’è tanto appetito per le solite scene Disney.

Sul fronte Labour, Jeremy Corbyn tiene i suoi pronti come «governo in attesa» e sta redigendo un Queen Speech, un programma di governo, alternativo. Il leader, in modalità ecumenica, ha fatto un rimpasto del governo ombra dove ha magnanimamente nominato il suo ex rivale Owen Smith a segretario ombra per l’Irlanda del Nord, segnalando una politica delle braccia aperte con chi ha cercato di fargli le scarpe per due anni. Mentre John McDonnell ha invitato i sindacati a mobilitare le piazze per il primo luglio. Obiettivo: un milione di voci che chiedano che May se ne vada.

Sono mesi tremendi per Theresa May. Il traumatico mix di terrorismo e sciagure delle ultime settimane ha impietosamente messo a nudo i guasti dell’ideologia privatizzante e austeritaria imposte dal suo partito. È ancora presto per dirlo, ma la sua vulnerabilità parlamentare non le consentirà di sottrarsi alla rendicontazione spietata dei sette anni di governo tory imposta da Manchester, Borough Market, e ora Grenfell: tragedie cui meno tagli alla polizia ai pompieri, ai medici e al social housing avrebbero consentito risposte migliori. Né se la passa meglio il leader libdem Tim Farron, che lascia le leadership. Dopo alcune uscite altomedievali sui gay, lo hanno invitato a farsi da parte e lui ha saggiamente accettato.