Nel giro di una sola mattina il voto del 9 dicembre sulla riforma del Mes, da rischioso che era, diventa una bomba. O almeno lo diventerebbe in un parlamento dove le scelte politiche fossero prese sul serio e non subordinate alle uscite dall’aula, alle astensioni, ai voti in dissenso pilotati. Il rischio, fino a ieri, era che la riforma del Mes, in seguito a possibili e forse probabili defezioni nelle file del M5S, passasse con il voto determinate di Fi. A una possibile bocciatura non ci pensava nessuno.

A CAMBIARE LE COSE è stato il ricatto brutale di Meloni e Salvini. Il capo della Lega, reduce da un incontro al Quirinale nel quale ha parlato quasi solo il capo dello Stato per confermare che il parlamento sarà coinvolto nelle scelte sul Recovery Plan, è ultimativo: «Chiunque in parlamento approverà questo danno all’Italia finisce di essere compagno di strada della Lega».

Non è un fulmine a ciel sereno. I leader della Lega e di FdI hanno certamente già concordato la mossa con il Cavaliere, imponendo di restituire il favore fatto la settimana scorsa, quando tutto il centrodestra aveva seguito controvoglia Fi nel voto sullo scostamento di bilancio. A strettissimo giro arriva infatti l’anticipazione della risposta da parte di Licia Ronzulli, «Non voteremo la riforma del Mes», e poi la conferma ufficiale di Berlusconi: «Fi non vota la riforma. Non è soddisfacente per l’Italia e non va nella direzione indicata dal parlamento europeo».

LE SPIEGAZIONI TECNICHE addotte da Berlusconi non sono peregrine. Il voto sull’utilizzo dei fondi del Mes sarà a maggioranza, dunque senza garanzie per l’Italia, e il controllo sia del parlamento europeo che della Commissione europea è solo teorico. Ma il nodo è politico, non tecnico, e la mossa di Berlusconi è dunque deflagrante. Sulla carta non ci sarebbero rischi neppure al Senato, dove la maggioranza conta su 165 voti non tutti necessari dal momento si richiede la maggioranza semplice e non, come nel caso degli scostamenti di bilancio, quella assoluta.

Ma il M5S è nel caos, ai confini di una rivolta che a palazzo Madama potrebbe costare qualche defezione di troppo. «L’ok di Crimi è a titolo personale», vanno all’attacco i più infervorati come il senatore Crucioli. Condividono la sua linea Barbara Lezzi e Lannutti ma in quel formicaio più che mai impazzito che è il Movimento post Stati generali nessuno può dire con certezza quanti voti mancheranno all’appello. «Qualcuno farà le sue scelte ma il M5S non si dividerà», ammette lo stesso Crimi violentando la logica.

PERÒ NELLE FILE AZZURRE regna lo stesso disordine. Sono in molti a protestare rumorosamente. Sia i deputati che i senatori chiedono alle capogruppo la convocazione dei gruppi.

Ma se a Montecitorio la rivolta è aperta, al Senato è più contenuta. Eppure è proprio al Senato che un certo numero di assenze azzurre mirate o di «voti di coscienza» a favore, col tacito e inconfessato beneplacito di Berlusconi, potrebbero salvare la riforma e il governo ove il dissenso pentastellato fosse troppo numeroso. A torto o a ragione, la previsione dei politici è che andrà proprio così. Un governo salvato dai voti forzisti in dissenso sarebbe certo imbarazzante ma in fondo meno che se a lanciare il salvagente fosse stata ufficialmente Fi.

MA PUR CON QUESTE ROSEE previsioni, nessuno è tranquillo. La resa di Fi non si è estesa al Mes sanitario. Nella trattativa con gli alleati Berlusconi ha difeso la posizione a favore dell’accesso al prestito del Mes e ieri tutta Fi ha confermato che il no alla riforma non incide sul sì al prestito. Solo che quella partita è chiusa. Di Maio, che da quando si è autonominato di nuovo leader dei 5S adora i toni perentori, è definitivo: «In parlamento il prestito non ha i numeri e finché saremo al governo non verrà chiesto». Il Pd sa di non poter insistere, non con un ministro dell’Economia, peraltro dem, che afferma che di quei 37 miliardi l’Italia non ha bisogno. Il Pd si è già arreso. Renzi no.

Per lui lo smacco è bruciante e l’irrequietezza del capo di Iv è palese e crescente. Sa di aver perso la partita sul rimpasto, è stato sconfitto sul Mes e anche sulla cabina di regia del Recovery, che non vorrebbe, è alle corde. Lo scontro tra Conte da un lato, Pd e 5S dall’altro, è su chi la gestirà, non sul se costituirla o meno. Un Renzi sconfitto su troppi fronti equivale a una mina vagante, pronta a esplodere alla prima occasione. Potrebbe arrivare col caso Mes.