Il futuro del Mercosur (Mercato Comune del Sud) è denso di incognite. L’incontro bilaterale che si è tenuto a Brasilia il 16 gennaio tra Bolsonaro e il presidente argentino Macri, con le rispettive folte comitive di ministri, doveva affrontare i tanti problemi dell’area latino-americana. Il Mercosur (Mercosul per i brasiliani) non solo ne esce ridimensionato, ma si sono gettate le basi per il suo superamento. Costituito nel 1991, è stata la più importante iniziativa di integrazione regionale dell’America Latina.

LA FINE DEI REGIMI MILITARI che avevano infestato tutta la regione e il processo di democratizzazione che ne era seguito, consentirono a Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay, di sviluppare un processo di integrazione economica che, pur con qualche crisi, è andato avanti per più di 20 anni. Anche i temi politici e istituzionali, diritti umani, cittadinanza, sono entrati negli accordi tra i paesi aderenti al blocco.

MA I CAMBIAMENTI POLITICI avvenuti nella regione stanno mettendo tutto in discussione. I nuovi governi che si sono insediati nella regione, a partire dal 2015 con Macri in Argentina e successivamente con Temer e Bolsonaro in Brasile, hanno prodotto nuove alleanze e nuovi contrasti. Il Venezuela, che aveva aderito al blocco solamente nel 2012, è stato sospeso a partire dal 2016, sotto la presidenza Maduro, per «violazione della clausola democratica». Ed è proprio il Venezuela a rappresentare la “spina nel fianco” dei nuovi governi latino-americani, oltre che degli Usa. L’avvento di Bolsonaro e la sua politica di alleanze con gli Usa, stanno determinando una accentuazione dei contrasti con Caracas, con il presidente brasiliano che in campagna elettorale era arrivato a ipotizzare un intervento armato contro il Venezuela.

NELL’INCONTRO DI BRASILIA si sono rinnovate le prese di posizioni contro Maduro, ma l’attacco più deciso è stato rivolto al Mercosur e alla «logica protezionistica che lo ha caratterizzato nell’ultima decade».

Attualmente è preclusa ai paesi del blocco la possibilità di negoziare individualmente accordi commerciali con altre economie. Bolsonaro guarda agli Stati uniti, in una logica neoliberista molto spinta e vuole autonomia di manovra. L’Argentina è contraria al processo di liberalizzazione assoluta del mercato, mantiene buone relazioni con gli Usa, ma è anche il principale sostenitore di un trattato di libero commercio con l’Unione europea. Ma gli accordi non vanno avanti se non c’è identità di vedute tra i componenti del blocco.

LA GUERRA COMMERCIALE in atto tra Usa e Cina vede il Brasile e l’Argentina collocarsi in modo differenziato. Bolsonaro vorrebbe ridurre la presenza della Cina nella regione latino-americana, come è nei desideri di Trump. Ma la Cina è il principale partner commerciale del Brasile e il secondo partner dell’Argentina. Il suo crescente fabbisogno di mangimi animali ha favorito l’esplosione produttiva nel campo agricolo in tutti i paesi del blocco, con la soia protagonista indiscussa. La regione si è guadagnata l’appellativo di «Repubblica unita della soia» e il 50% della produzione è assorbita dalla Cina. Ma ora neanche la soia riesce a conciliare gli interessi divergenti che si stanno manifestando.

SE BOLSONARO adottasse una politica estera piegata ai desideri di Trump, l’Argentina accentuerebbe il suo rapporto con l’Unione europea, in una logica di accordi bilaterali che porterebbe, inevitabilmente, alla completa dissoluzione del Mercosur. L’ultraliberista nuovo ministro brasiliano dell’economia Paulo Guedes aveva dichiarato alcuni giorni fa: «Il Mercosul non sarà una priorità per il Brasile perché esso è restrittivo e il paese è stato prigioniero di alleanze ideologiche che hanno rovinato l’economia». Il processo che ha portato i governi di centro destra a riappropriarsi dei paesi latino-americani, produce, dunque, nuove alleanze in campo internazionale e nuovi schieramenti in campo economico. La politica degli Stati Uniti è stata sempre quella di preferire accordi bilaterali, negoziando direttamente con un unico paese, piuttosto che con un blocco di paesi, per trarne il maggiore vantaggio economico.

IN QUESTO SENSO l’obiettivo degli Usa è stato sempre quello di indebolire i blocchi. L’asse Bolsonaro-Trump non può che accelerare la crisi del blocco latino-americano. La crisi economica e l’inflazione elevata che si riscontrano in Argentina non favoriscono il Brasile e le sue esportazioni verso il paese di Macri. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha concesso a Buenos Aires, a partire dal 2018, un prestito di 50 miliardi di dollari in 3 anni per far fronte alle gravissime difficoltà economiche. Il Brasile, che è il principale partner commerciale dell’Argentina, ha tutto l’interesse perché il paese non crolli e l’economia possa recuperare, ma gli obiettivi stabiliti dal Fmi appaiono proibitivi per il paese argentino.

EMIR SADER, sociologo e politologo brasiliano, così inquadra la situazione:«Macri ha fallito come tutti i governi neoliberisti, perché questo modello non ha la capacità di generare sostegno sociale in quanto si promuovono gli interessi del capitale speculativo, che non genera espansione economica, ma vive sull’indebitamento di governi, imprese, individui, riproducendo i meccanismi della recessione economica». Quest’anno si vota per le presidenziali in Argentina e Macri, pur avendo un indice di popolarità molto basso, è candidato alla rielezione. I temi agitati da Bolsonaro in Brasile non lasceranno indifferente il presidente argentino.