Domani saranno trascorsi cinque anni dal memorandum siglato il 2 febbraio 2017 dagli allora primi ministri Paolo Gentiloni, per l’Italia, e Fayez al-Sarraji, per il governo di riconciliazione nazionale libico. Nelle ragioni ufficiali avrebbe dovuto fermare partenze e morti in mare. Nella realtà ha alimentato violazioni dei diritti, detenzioni arbitrarie, vittime innocenti e lucrosi business sulla pelle dei migranti.

A TIRARE LE SOMME è Oxfam che dal 2017 stima 8mila morti in quel tratto di mare e 80mila intercettazioni della «guardia costiera libica». Di queste oltre la metà sono avvenute mentre al Viminale sedeva Luciana Lamorgese: 46.700, con una media mensile di 1.668 (che nel 2021 è salita a 2.602). Quando ministro dell’Interno era Matteo Salvini sono stati catturati 13.600 migranti, 969 al mese. Con Minniti 19.700, media mensile 1.234 (elaborazione dati del ricercatore Ispi Matteo Villa).

NEGLI ULTIMI cinque anni gli sbarchi in Italia sono stati 255mila. 80mila arrivi in più non avrebbero cambiato le sorti del paese. Le intercettazioni hanno invece cambiato la vita a ognuna delle persone coinvolte e così reinserite nel circuito di violenze e abusi dei centri. In Libia 27 strutture detentive ufficiali coesistono con prigioni «clandestine» di cui si sa poco e nulla. Secondo Oxfam nel 2021 si sono perse le tracce di 20mila migranti riportati a terra: la loro presenza non risulta nei centri governativi.

«DALLA FIRMA dell’accordo l’Italia ha speso 962 milioni di euro per bloccare i flussi migratori e finanziare le missioni navali italiane ed europee», afferma Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia. Oltre 32 milioni sono andati alla «guardia costiera» accusata da agenzie Onu e Ong di metodi brutali contro i migranti e collusioni con i trafficanti. Il 22 gennaio scorso il presidente della Corte d’Appello di Palermo Matteo Frasca ha inaugurato l’anno giudiziario menzionando una «regia centralizzata e verticistica riconducibile anche ad appartenenti alle istituzioni libiche» che governa i gruppi criminali dediti a immigrazione clandestina e tratta.

INTANTO la questione dei diritti umani è stata completamente evasa. A novembre 2019, nel dibattito sul primo rinnovo dell’accordo che ha durata triennale, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dichiarò l’intenzione di migliorare il memorandum «con particolare attenzione ai centri e alle condizioni dei migranti». Dell’annunciata convocazione a tale scopo della commissione congiunta italo-libica, prevista dall’art. 3, non si è saputo nulla. Sappiamo invece che sono aumentati i migranti reclusi, decuplicati tra gennaio e ottobre 2021, e le violenze nei centri e per le strade, come il rastrellamento di 5mila rifugiati nell’ottobre scorso a Tripoli. «Omicidi, schiavitù, torture, reclusione formano parte di un sistematico e diffuso attacco diretto contro questa popolazione [migrante, ndr], a sostegno di una politica statale», sostiene il rapporto della missione di inchiesta indipendente dell’Onu (Ffm).

CHE L’«INFERNO LIBICO» non sia un effetto collaterale, ma il prodotto diretto degli accordi anti-migranti vogliono dimostrarlo due dossier contro Italia ed Unione Europea presentati alla Corte penale internazionale dell’Aja dall’avvocato Omer Shatz nel 2019 e da un pool di associazioni di giuristi due settimane fa (UpRights, Olanda; Adala for all, Francia; StraLi, Italia). Lo sostiene anche Asgi che domani pubblicherà un lungo documento firmato da 100 realtà – tra cui Emergency, Fondazione migrantes, Un ponte per, Uil – per chiedere la revoca del memorandum. Questo, si legge nel testo, «sta nei fatti agevolando la strutturazione di modelli di sfruttamento e riduzione in schiavitù all’interno dei quali sono perpetrate in maniera sistematica violenze tali da costituire crimini contro l’umanità».