Miss Rosselli è il titolo del nuovo libro di Renzo Paris (Neri Pozza, pp. 240, euro 18), anche se l’autore ci rivela che aveva pensato di intitolarlo «Melina». Il soprannome che Amelia Rosselli portava fin dall’infanzia è l’appellativo affettuoso che Paris utilizza per parlare di lei bambina, quella che viveva al 79 di rue Notre-Dame-des-Champs a Parigi. Insieme al nome di Melina sono raccontati gli anni piuttosto felici di Rosselli, precedenti all’assassinio del padre Carlo e dello zio Nello.

SI TRATTA DEI TEMPI della serenità ma anche di quelli di una prima solitudine, corrispondente alla mancanza corporea dei genitori impegnati nella lotta politica. Si tratta dei momenti in cui il padre lontano scriveva a lei e al fratellino: «Cara Mea e caro Meo, questi sono due nomi nuovi che vi dà il babbo, insieme a due bacchi, no a due bacche, no due bocche, no due bocce, no due boccali, no due baccalà. No, no, due… uff… Baci. Melina, anzi Mea, voglio un balletto».

Tuttavia Miss Rosselli ha prevalso, come «un omaggio alla sua voce straniera e poliglotta». «Miss» suggerisce, infatti, la natura involontariamente cosmopolita della poeta; natura involontaria perché il suo cosmopolitismo non aveva a che fare con il viaggio ma con la fuga attraverso l’Europa e l’America del Nord. Amelia Rosselli dichiarava infatti a Paola Zacometti: «Cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi non eravamo dei cosmopoliti; eravamo dei rifugiati». Dopo l’assassinio dei fratelli Rosselli, Amelia e quello che restava della sua famiglia scapparono prima dall’Italia fascista, poi dall’Europa nazista fino a sbarcare a Larchmont, un sobborgo di New York, dove resteranno rifugiati in quanto ebrei antifascisti.

IL TITOLO DEFINITIVO suggerisce già molto di ciò che nel libro si dirà, con il sovrappiù degli incontri e degli scambi negli ambienti artistici, intellettuali e militanti della Roma del secondo dopoguerra. La dimensione privata, legata alle reti parentali, amicali e amorose scorre mai avulsa da quella della vita politica dell’Italia degli anni Trenta e, soprattutto, del dopoguerra.

Nella personale ricostruzione di Renzo Paris la storia italiana e i suoi protagonisti più noti hanno un peso forte e si mescolano, attraverso i ricordi dell’autore-narratore, con le esperienze condivise dell’ambiente artistico-culturale romano. Alberto Moravia, Dario Bellezza, Elsa Morante, Sandro Penna, Pasolini e molti altri fanno capolino continuamente. Paris riesce a ricostruire questo panorama senza risolverlo in un susseguirsi aneddotico, ma ricomponendo attraverso di esso i tasselli dell’esistenza di Amelia Rosselli.

I brandelli non morti che il fascismo aveva lasciato dietro di sé emergono in maniera fantasmatica, non solo per arricchire di verità la diagnosi di schizofrenia paranoide attribuita alla poeta, ma anche per confermare i suoi gravosi lasciti ideologici nella politica italiana. Anche il Sessantotto, al cui entusiasmo Rosselli guardava allarmata, presagiva il «fallito golpe Borghese», in chiara intuizione del ruolo della P2 – ingenuamente sottovalutata. I cagoulards che avevano seguito da Parigi i fratelli Rosselli per massacrarli in Normandia, a Bagnoles-de-l’Orne nel 1937, avevano mutato di segno ma non in potenziale persecutorio. Inseguendo la poeta diventeranno gli «agenti biondi» della Cia dai quali Amelia Rosselli si sentirà braccata per anni, lasciandone traccia anche nelle sue poesie. L’ultima poesia di Documento (1976) dice: «Corruzione del giornale di ieri / centoventimila tiratori scelti. // Senza lezione / scemava nella tenerezza costrittiva / l’inconscia pala del nemico divertito».

QUESTA POESIA è solo una delle tantissime che si intrecciano alla narrazione, costellando i fatti di una parola poetica che, nel racconto di Renzo Paris, assume i tratti delle visioni vaticinanti di una sibilla con un grande genio per la Storia. Questo stesso tratto, corrispondente a una specie di ieraticità inarrivabile, è quello che l’autore vede delinearsi nello sguardo di Rocco Scotellaro, l’amato poeta di Tricarico che Rosselli cantava nella meravigliosa raccolta Cantilena (1953). Di un amore viscerale, antigonico, sentono i suoi versi: «Rocco morto / terra straniera, l’avete avvolto male / i vostri lenzuoli sono senza ricami / Lo dovevate fare il merletto della gentilezza!».

L’AUTORE, pur enunciando i tratti di questa essenza profetica, non si risolve a connotare di sola oracolarità la parola poetica di Rosselli. In tal senso sceglie di riportare la stizza della stessa nei confronti di chi fra i critici la chiamava «Sibilla»: «non c’è nulla di profetico nei miei versi… non profetizzo il futuro, analizzo il presente… da marxista».
Senza dichiararlo esplicitamente ma esponendo le chiavi che permettono una lettura attraverso la tradizione poetica, Renzo Paris sembra in accordo con quella critica rosselliana che valorizza lo sforzo formale per addomesticare e trasformare la lingua dei padri poetici: i poeti del Due-Trecento, Montale, Rimbaud, Baudealaire e Campana, ma anche Robert Frost, Pound e Eliot tornano ripetutamente in un citazionismo che la scrittrice incorpora e muta di genere.

INSIEME ALLE POESIE di Amelia Rosselli confluiscono anche le voci della critica rosselliana e di chi seppe, fin dagli esordi, ascoltare il suo versificare: Pier Paolo Pasolini, Biancamaria Frabotta, Emmanuela Tandello, Alfonso Berardinelli, Mariella Bettarini, Daniela Attanasio, Silvia De March, Stefano Giovannuzzi, Gabriella Sica, Sandra Petrignani e altri ancora. Nel libro di Paris l’impianto non segue regole cronologiche ma piuttosto quelle di un memoir anarchico, in cui Amelia si manifesta come ricordo vivente e come ombra, spesso ironica e dissacrante.

Affiora come presenza incarnata in occasioni che la vedono partecipe con Renzo Paris a eventi e incontri poetici, oppure si delinea nel pensiero del narratore nella forma di un corpo opaco invisibile agli occhi. Sembra dominare e dettare il susseguirsi dei fatti e appare anche nell’ultima visione-sogno narrata dall’autore, vestita di un panno rosso sangue in un villaggio del sud della Cina.

LE DUE FORME, quella del ricordo vivente e quella dell’ombra oltremondana, costituiscono l’antinomia paradossale su cui il libro di Renzo Paris sembra giostrarsi. Un gioco senza vincitori, in cui l’assenza maestosa della poeta morta suicida negli anni Novanta lascia spazio, nella memoria storica e sepolcrale di chi scrive, alla presenza dell’impercettibile e della parola.