Tutti i 21 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo fino ad oggi hanno fallito nell’impegno di proteggere concretamente il 10% del loro mare entro il 2020, così come stabilito 10 anni fa nell’ambito della Convenzione internazionale sulla Diversità Biologica: non fa sconti il bilancio presentato dal Wwf nel suo report «Verso il 2020: Fact check sulla tutela del Mediterraneo» lanciato in apertura della Conferenza delle Parti della Convenzione di Barcellona riunitasi a Napoli dal 2 al 5 dicembre.
Sulla carta risulta tutelato il 9,68% del Mar Mediterraneo, ma le aree marine a vario titolo protette che hanno piani di gestione sono solo il 2,48% e quelle che li implementano, assicurando così un’effettiva gestione, sono appena l’1,27%. E volendo verificare la porzione sottoposta a protezione integrale si scopre che solo lo 0,03% del «mare nostrum» beneficia della massima tutela.

L’analisi condotta dal Wwf dimostra come nell’ultimo decennio quasi tutti i Paesi del Mediterraneo hanno palesemente disatteso l’obbligo di creare entro il 2020 una rete adeguata di aree marine protette. Non solo: il quadro che emerge è che, a distanza di quattro decenni dal suo lancio, gli aderenti alla Convenzione per la Protezione dell’Ambiente marino delle Regioni costiere del Mediterraneo, lanciata a Barcellona nel 1976, stanno venendo meno al loro mandato, lasciando questo bacino in gran parte non protetto e sovrasfruttato da attività ad alto impatto ambientale come la ricerca e l’estrazione di petrolio e gas. Eppure la Convenzione di Barcellona avrebbe dovuto garantire la tutela della grande ricchezza di biodiversità del Mar Mediterraneo che, pur costituendo solo lo 0,82% della superficie degli oceani, ospita circa il 7,5% delle specie marine globali, con una presenza stimata di circa 17.000 specie.

Venendo all’Italia, con 14.000 specie stimate nelle proprie acque, il nostro è uno dei Paesi del Mediterraneo più ricco di biodiversità marina. Eppure, nonostante apparentemente ci troviamo in una buona situazione tutelando a vario titolo il 19,12% delle nostre acque territoriali (0-12 miglia marine), in realtà non ci discostiamo dallo sconfortante quadro generale, considerato che la gestione viene effettivamente implementata solo nell’1,67% delle nostre acque marine. Le aree marine protette continuano ad essere la parte più debole del sistema di tutela italiano: frammentate e di piccole dimensioni, con governance spesso inefficace e finanziamenti limitati. Dei sette Protocolli attuativi della Convenzione di Barcellona, l’Italia dal 1979 ad oggi ne ha ratificato solo quattro (Dumping, Prevenzione dell’emergenza, Inquinamento da fonti terrestri, Aree protette e diversità Biologica), mentre mancano le ratifiche dei Protocolli Offshore/Inquinamento da esplorazione e sfruttamento di idrocarburi, Rifiuti pericolosi e Gestione integrata delle zone costiere.

La cronica mancanza di investimenti e di interesse rispetto alla biodiversità sta minando seriamente la capacità del nostro mare di mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici e di sostenere la nostra economia blu. La richiesta del WWF è quindi quella di aumentare in maniera considerevole gli investimenti e le risorse nella gestione delle aree marine protette e ripristinare gli habitat marini minacciati dallo sfruttamento eccessivo e dagli effetti dei cambiamenti climatici.