Narra la leggenda che mentre Bisanzio cadeva, alla corte degli ultimi imperatori romani si discutesse del sesso degli angeli. Così a Roma, mentre il presunto governo del cambiamento non riesce a convertire in legge nemmeno i decreti in scadenza, gli stati generali dell’editoria vanno avanti come se nulla fosse. Senza aver coinvolto forze politiche o commissioni parlamentari e senza lo stesso Vito Crimi, che nella giornata di ieri non si è nemmeno presentato (era alle prese con le norme per i terremotati), lasciando tutto il peso del confronto sulle tante e diverse professioni nel giornalismo e nella comunicazione (social media, fotoreporter, videomaker, uffici stampa, etc) sulle spalle del capo dipartimento editoria Ferruccio Sepe.

Non inconsapevole anche lui, in effetti, delle nuvole nere all’orizzonte quando, chiudendo l’incontro, ha invitato tutte le categorie a fare proposte concrete e il più possibile condivise, pena la «riflessività» della politica e cioè il rischio concreto di parlare di tutto per non cambiare nulla.

Gli atti parlamentari sono un lontano ricordo, ormai siamo nell’epoca dei convegni videoregistrati che – assicurano – il senatore Crimi guarda puntualmente e guarderà se necessario anche di notte, come una serie su Netflix.

Streaming a parte, in sala ci sono 24 persone giustamente preoccupate e pochissimi giornalisti a seguire i lavori, che invece si sono rivelati ancora una volta una dolorosa e circostanziata ricognizione del disastro che incombe ormai su tutti i fronti del settore di competenza del sottosegretario.

Attorno a un tavolo, e in platea, le diverse associazioni che rappresentano professioni storiche come i fotoreporter e gli uffici stampa e lavoratori «nuovi» come videomaker, social media manager, data analyst e via anglicizzando.

Presente ai lavori il capogruppo M5s Paolo Lattanzio, che ha assicurato la sensibilità della commissione cultura sui temi presentati. Il quadro normativo e retributivo che emerge infatti è desolante, da medio evo.

Sul tappeto di governo e parlamento tre nodi fondamentali, tutti da risolvere con la modifica di leggi vecchie e completamente inadeguate (per esempio quella sul diritto d’autore del 1941, sulla professione giornalistica del 1963 o quella degli uffici stampa nella Pa del 2000):

  1. inquadramento giuridico delle nuove figure professionali del mondo della comunicazione,
  2. protezione dei contenuti e loro remunerazione (foto, articoli, dati, video, etc.),
  3. nodo previdenziale o, meglio, il possibile passaggio previdenziale dei 13mila comunicatori dall’Inps all’Inpgi.

Una norma epocale, quest’ultima, molto complessa, che al momento sembra essere sostenuta dalla Lega e osteggiata invece dai 5 Stelle e da gran parte delle associazioni presenti ieri.

La rissa nella maggioranza complica le cose e lascia inerte il parlamento, in attesa di un testo da poter votare. La questione Inpgi-Inps pare essere approdata sul tavolo di Di Maio (come ministro del Lavoro), con il quale sia Fieg (editori) che Fnsi (il sindacato dei giornalisti) hanno chiesto di confrontarsi in queste ore.

Lunedì, secondo il relatore del decreto crescita Centemero (Lega), l’eventuale emendamento sull’Inpgi dovrà essere presentato. Ma nel braccio di ferro tra i due partiti di maggioranza c’è anche il «salva Roma», e la quadra è ancora molto lontana.

Aggiornamento del 6 giugno

La misteriosa assoblogger agli stati generali dell’editoria. Primaonline Prima-Comunicazione ha provato a capirne di più. Se non è una farsa, quasi.