Doveva essere un presidente di transizione, verso un leader egiziano forte come i suoi predecessori Gamal Abdel Nasser e Anwar Sadat. Invece Hosni Mubarak, contro ogni previsione, al potere ci sarebbe rimasto per trent’anni, accumulando poteri immensi, politici ed economici, a beneficio anche della sua famiglia, tanto da essere descritto da oppositori ed avversari come il “nuovo Faraone”. Influente ma raramente determinante, Mubarak alla storia è passato solo nel 2011 quando la Rivoluzione di Piazza Tahrir, le Forze armate e il bye bye di Barack Obama lo costrinsero l’11 febbraio di quell’anno a dimettersi. Quel giorno, per la felicità di milioni di egiziani, ebbe fine il suo lungo regno fatto di repressione, negazione di libertà fondamentali e di un sistema di corruzione ampio e stratificato gestito anche dai figli del raìs, Alaa e Gamal. Fu la fine di un incubo ma chi è oggi al potere in Egitto si è dimostrato persino più brutale ed oppressivo del “nuovo Faraone”.

 

Nato il 4 maggio 1928 a Kafr el Musilha, Hosni Mubarak emerse per la sua brillante carriera nell’aviazione militare. Non aveva talento per la politica e la nomina vicepresidente fu il risultato della sua fedeltà cristallina ad Anwar Sadat e alla politica filo-occidentale del presidente, culminata a Camp David con il trattato di pace con Israele, la prima tra un paese arabo e lo Stato ebraico. Sadat gli diede l’incarico di viaggiare nelle capitali della regione per spiegare la scelta della pace con Israele. Non servì a molto, l’Egitto che pure a quel tempo era considerato il più autorevole dei paesi arabi, fu messo ai margini (sarebbe stato reintegrato nella Lega araba solo anni dopo). La missione ebbe più successo in Occidente dove si fece conoscere ed apprezzare. Piacque agli Stati uniti che spinsero per la sua nomina a presidente dopo l’assassinio di Sadat, compiuto il 6 ottobre del 1981 da un commando del Jihad islamico durante una parata militare.

 

Mubarak assicurava continuità in politica estera e ciò bastava ai suoi interlocutori nordamericani che, come i vertici delle Forze armate egiziane, lo ritenevano il più adatto per una transizione verso una leadership più forte. Invece il poco carismatico generale dell’aviazione, in pochi anni seppe sbarazzarsi di rivali ed avversari grazie all’appoggio del Partito nazionale democratico (per decenni il “partito unico” in Egitto) e ai benefici assicurati ad amici ed alleati. Gli emendamenti alla Costituzione gli garantirono per decenni la riconferma attraverso presidenziali-farsa. Ergendosi a protettore della minoranza cristiana, Mubarak ebbe la fedeltà degli egiziani copti mentre con i Fratelli musulmani, spina nel fianco fin dai tempi di Nasser, alternò il bastone e la carota. In economia adottò il liberismo e le privatizzazioni e finì per aggravare le condizioni di milioni di egiziani con la demolizione del welfare lasciato in eredità da Nasser e sopravvissuto a Sadat.

 

In politica estera il “nuovo faraone” ha avuto un solo pilastro: l’alleanza strategica con gli Stati uniti e la collaborazione, segnata da alti e bassi, con Israele. E lo dimostrò dopo l’invasione irachena del Kuwait nel 1990 partecipando attivamente nella coalizione contro Saddam Hussein messa in piedi dall’Amministrazione Bush nella guerra del Golfo del 1991. Ottenne significativi aiuti finanziari in aggiunta ai miliardi di dollari assegnati annualmente dagli Usa all’Egitto dopo Camp David. Aiuti insufficienti a tamponare la crisi economica del paese. A partire dagli anni ’90 l’aumento della povertà e della disoccupazione, fu parallelo alla crescita del dissenso politico. Mubarak affrontò questi problemi con il pugno di ferro, rafforzando gli organi della repressione e usando la legge marziale introdotta dopo l’assassinio di Sadat e mai revocata.

 

Il raìs mise sullo stesso piano il terrorismo della Gamaa al Islamiyya – responsabile di gravi attentati contro egiziani e turisti stranieri – con la protesta di progressisti e riformisti. La nascita nel 2004 dell’associazione Kefaya (Basta) che univa la lotta per le riforme al sostegno alla seconda Intifada palestinese, unita alle informazioni diffuse da blogger come Manal e Alaa Abdel Fattah e alla crescita della sinistra e del sindacalismo indipendente, crearono le basi dell’attivismo che risulterà fondamentale per la sommossa egiziana. Mubarak non si renderà conto fino all’ultimo di quanto il suo regime fosse giunto vicino al capolinea. Non esiterà ad ordinare di far fuoco sulla folla, persuaso che la violenza e la repressione avrebbero indotto a tornare a casa i milioni di egiziani che occupavano Piazza Tahrir in nome di pane e libertà. L’11 febbraio 2011 Mubarak sarà scaricato da chi non si aspettava: i comandi militari egiziani e l’Amministrazione Usa. In seguito affronterà, assieme ai figli, processi e detenzione fino alla grazia non dichiarata decisa dal regime di Abdel Fattah el Sisi che gli ha consentito di vivere da uomo libero gli ultimi anni nella sua villa nel ricco quartiere cairota di Heliopolis.