È pressing di Ue e Onu per arginare gli sbarchi di profughi in Europa, provenienti dalle coste libiche. A questo serve la pressione sulla Libia spaccata in quattro fazioni; perché l’unità del Paese resta una finzione buona solo per una nuova «missione umanitaria». Ieri la Ue ha dato il via libera alla seconda fase dell’operazione Eunavfor Med che prevede la possibilità di intercettare i barconi e arrestare gli scafisti in acque territoriali libiche.

Il piano era stato duramente criticato dalle due fazioni di Tripoli e Tobruk perché viene percepito come una vera e propria interferenza nel controllo delle coste libiche. Per fronteggiare la crisi migratoria, il Congresso nazionale generale (Cng) di Tripoli aveva approvato un piano per contenere i flussi di profughi in accordo con le municipalità che prevede il controverso arresto dei migranti, prima che lascino le coste libiche. Il parlamento di Tobruk ha invece usato la leva dell’aumento dei flussi di migranti verso l’Europa per chiedere un intervento internazionale o attacchi egiziani contro Tripoli.

Le due fazioni libiche, divise su tutto, sembrano aver trovato un primo quadro di intesa per la formazione di un governo di unità nazionale. Lo ha annunciato il mediatore Onu Bernardino León: «Siamo a un passo». Anche Tripoli dunque avrebbe superato le resistenze degli scorsi mesi, quando aveva negato il suo sostegno alla prima bozza negoziata a Skhirat in Marocco. Ora l’accordo dovrebbe essere discusso e varato dai due parlamenti. El Taher el-Makni, capo negoziatore del Cng (dopo un rimpasto all’interno della compagine negoziale), ha annunciato che la delegazione tripolina, prima di dare il suo via libera definitivo all’intesa, deve esaminare i punti controversi. Il Cng ha già riferito di richieste di nove modifiche all’ultima bozza.

Dopo lunghe discussioni, León ha però parlato di «consenso sui principali elementi» aggiungendo che entro il 20 settembre tutte le parti dovrebbero dare il loro assenso definitivo alla formazione del governo di unità nazionale. L’intesa quadro prevede la nomina di un presidente del Consiglio con due vice-premier, che formerebbero una sorta di «Consiglio di presidenza», allargato ad altri due ministri. Questo triumvirato dovrebbe essere espressione sia del Cng di Tripoli sia del parlamento di Haftar a Tobruk e Beyda sia delle tribù del deserto meridionale.

«Crediamo che questo testo riceverà il totale sostegno delle parti», così León ha brindato all’intesa. Il diplomatico spagnolo si è sempre mostrato armato di facile ottimismo. In verità le fazioni libiche restano divise su punti chiave. A partire da quale sarà il futuro dell’ex generale, ex agente Cia, Khalifa Haftar, nemico-amico dell’ex presidente Muammar Gheddafi. Anche il premier di Tobruk, Abdullah al-Thinni, vorrebbe vedere ridimensionato il ruolo dell’autoproclamatosi capo delle Forze armate. Non solo, non è ancora certo il nome del nuovo premier. Su questo ci potranno essere discussioni fino all’insediamento del governo.

Due elementi hanno permesso a questa fragile quasi-intesa di concretizzarsi. Prima di tutto l’intenzione di Tripoli di scongiurare un attacco internazionale a guida egiziana che avrebbe distrutto il Cng e messo a tappeto la Fratellanza di Tripoli, i suoi legami con le milizie Scudo di Misurata, appoggiate dal Qatar, e con il terrorismo vecchio stile di al-Qaeda. La seconda novità è la scoperta del maxi giacimento di gas, 107 chilomentri a largo di Port Said, che ha creato in Egitto una tale euforia da permettere al ministro del Petrolio di scalare le vette del governo ad interim e diventare nuovo premier. In questo modo al-Sisi ha spostato le sue mire dal petrolio della Cirenaica ai gasdotti di Eni. Nonostante ciò, la Lega araba continua a ragionare con le stesse logiche del Cairo. Ieri ha chiesto la cancellazione dell’embargo delle armi per Tobruk.

E così, se davvero entro questa settimana dovessero realizzarsi le speranze di León, tra fine settembre e primi di ottobre, potrebbe iniziare la missione Onu di peace-enforcement a guida italiana. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni ne è sicuro. «Siamo ad una stretta finale», ha ammesso. Queste scadenze dovrebbero essere rispettate a meno di un’estensione del mandato di León che termina il 30 settembre. Neppure la nascita di questo governo «a forza» potrebbe bastare per fermare i jihadisti dello Stato islamico (Isis) che continuano a controllare i centri di Sirte e Derna, godendo anche di un certo sostegno da parte degli ex-gheddafiani. Anche ieri dodici lavoratori egiziani sono stati rapiti a Sirte.