Fallito il tentato «assalto al cielo» del maxiprocesso Eternit, annullato per prescrizione nel novembre 2014, il percorso di giustizia, imboccato anni fa dai familiari delle vittime della fibra killer di Casale Monferrato, riparte da Vercelli. Con fatica, ancora più morti alle spalle e una rinnovata fiducia nelle istituzioni. «Speriamo che questa volta Schmidheiny non la faccia franca: vittime di amianto ce ne sono state e ce ne saranno ancora», dice Italo Ferrero dell’Afeva (l’associazione dei familiari delle vittime), che ha avuto 4 familiari morti di amianto, tra cui uno di 49 anni che non aveva mai lavorato nella fabbrica di via Oggero. Ieri mattina, al Tribunale di Vercelli, è iniziata l’udienza preliminare del processo «Eternit bis», che riguarda 392 casi di morte o malattia. L’imputato, a cui i pm vercellesi contestano l’omicidio volontario, è Stephan Scmidheiny, l’ultimo padrone in vita dell’Eternit, la multinazionale dell’amianto che a Casale Monferrato aveva il più importante stabilimento italiano, attivo dal 1907 al 1986. L’accusa mossa è diversa da quella del maxiprocesso, imbastito dal pool di Raffaele Guariniello, dove gli venne contestato il disastro doloso ambientale, reato considerato prescritto dalla Cassazione.
Davanti al gup Fabrizio Filice, per tutta la giornata, ha avuto luogo la verifica di costituzione delle parti. Il giudice ha rigettato le obiezioni della difesa di Schmidheiny, che lamentava la presenza di troppe associazioni parte civile, ammettendo, invece, tutte le costituzioni. Nell’udienza di venerdì inizierà la discussione con le richieste di pm e parti civili. Fuori dal Tribunale, in presidio, familiari e attivisti hanno indossato il tricolore con la scritta «Eternit giustizia». Presenti Legambiente, Cgil e i leader di questa coraggiosa battaglia iniziata sul finire degli anni 70: Bruno Pesce, Nicola Pondrano e l’oncologa Daniela Degiovanni. A Casale Monferrato si contano oltre 2.500 vittime per malattie correlate all’esposizione da amianto, la maggioranza non aveva mai lavorato all’Eternit. Si contano almeno cinquanta casi all’anno di mesotelioma, un tumore con una incubazione di quarant’anni. I casi di Casale nel maxiprocesso erano insieme a quelli di Cavagnolo (Torino), Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia). Il fascicolo, nato dalla procura di Torino, è stato «spezzettato» dal gup Federica Bompieri che ha riqualificato il reato da omicidio doloso (contestato tuttora dai pm vercellesi) a omicidio colposo (colpa cosciente), assegnando i quattro filoni ad altrettante Procure in base alla competenza territoriale. «Giustizia, bonifiche, risposte sanitarie. Ci aspettiamo un processo che tuteli anche le vittime e una sentenza che dica che certe cose non si devono fare», ha sottolineato Bruno Pesce.