Il matrimonio tra danza e musica
Convegni Alla Fondazione Cini di Venezia, un simposio internazionale analizza il fertile campo degli intrecci tra coreografo e compositore
Convegni Alla Fondazione Cini di Venezia, un simposio internazionale analizza il fertile campo degli intrecci tra coreografo e compositore
Si inaugurerà l’8 luglio nella Sala delle Capriate della Fondazione Cini di Venezia il convegno internazionale Music-Dance: Sound and Motion in Contemporary Discourse and Practice. Organizzato dall’Istituto per la musica della Cini come evento centrale del suo trentesimo anniversario, questo incontro raccoglierà circa una ventina di studiosi da varie parti d’Europa e dagli Stati Uniti. È il primo a svolgersi in Italia su una tematica quale i rapporti tra danza e musica, che sta assumendo un’importanza sempre maggiore nell’ambito della riflessione teorica sulle arti performative.
Il convegno veneziano sarà aperto da due conferenze magistrali: la prima sarà tenuta dalla coreografa francese Dominique Brun, autrice di una nuova «ricostruzione» della leggendaria Sagra della primavera di Nijinsky (1913), fondata su principi diversi da quella di Millicent Hodson e Kenneth Archer, mentre il compositore americano Alvin Curran, presenza a lungo familiare nel nostro paese, esporrà le sue riflessioni sulle esperienze di collaborazione da lui vissute con grandi protagonisti della danza, da Cunningham a Trisha Brown, da Enzo Cosimi a Lucia Latour. Il 9 inizieranno i lavori del convegno vero e proprio, diviso in cinque sessioni (Come interagiscono danza e musica nello spettacolo? Come viene immaginato, realizzato e percepito il loro rapporto? In quali modi si può configurare la collaborazione tra coreografo e compositore?…).
È noto che, nella storia delle due arti, i loro rapporti sono stati complessi e anche conflittuali: nel Settecento e nell’Ottocento diversi coreografi hanno ritenuto che alle specifiche necessità della danza si potesse rispondere solo con musica composta ad hoc da loro stessi. Del resto, fino alla fine dell’Ottocento, e con la fulgida eccezione dei balletti di Ciajkovskij e Petipa, i grandi compositori ritenevano il ballo un genere del tutto minore.
I mutamenti cruciali sono arrivati poi nel Novecento: è questo, infatti, l’ambito temporale di riferimento del convegno. Per i suoi Balletti Russi Diaghilev ha commissionato musiche ad alcuni dei maggiori compositori viventi, ponendosi quasi sempre come arbitro delle possibili divergenze tra loro e i coreografi, ma dapprima il teorico della danza Rudolf Laban nei primi decenni del secolo, e poi nel secondo dopoguerra Cunningham e Cage hanno teorizzato l’assoluta autonomia di danza e musica. Ma si è davvero certi che questo sia possibile, e che due forme artistiche che si svolgono simultaneamente nel tempo e nello spazio non mettano comunque in atto intrecci dei tipi più svariati, che si prestano poi a costruire i significati dell’opera coreo-musicale?
Da qualche decennio la musicologia ha rivolto un interesse specifico alla produzione e alla ricezione dell’opera coreomusicale. D’altro canto il rinnovamento della disciplina coreologica non ha investito solo il rapporto del movimento con la società all’interno della quale si svolge, ma anche l’opera coreografica stessa, di cui si tende a studiare la struttura e la coerenza interna.
In Italia la coscienza delle problematiche relative all’interazione tra danza e musica ha portato recentemente all’istituzione presso il Conservatorio dell’Aquila, in convenzione coll’Accademia Nazionale di Danza, di corsi che preparano i musicisti a lavorare assieme ai danzatori. A livello internazionale, una specifica corrente di studi, la coreomusicologia, da tempo riflette sulle problematiche teoriche dell’interazione tra queste due discipline, esplorando casi di felice collaborazione tra compositore e coreografo (due nomi per tutti: Balanchine e Stravinskij), ovvero coreografie che, nate dallo studio di partiture preesistenti, hanno posto l’enfasi su qualità della musica alle quali si era rivolta fino ad allora una minore attenzione. Le acquisizioni delle neuro-scienze hanno intanto permesso riflessioni nuove sul modo in cui chi guarda e ascolta uno spettacolo ne costruisce il significato.
Nel corpo umano l’inseparabilità delle dimensioni sensoriali implica una straordinaria ricchezza della percezione: lo spettacolo teatrale (ma anche quello cinematografico e tutte le altre forme delle arti performative) viene vissuto come un’opera unica. In un paesaggio artistico e di pensiero mobilitato anche dalle tecnologie digitali è indubbia la necessità di nuove metodologie che consentano di analizzare l’opera coreomusicale nella complessità che la caratterizza dal punto di vista sia dell’autorialità, che della struttura e della ricezione. A questi compiti si accingono a lavorare gli studiosi raccolti presso la Fondazione Cini in un convegno che mira a far crescere la coscienza dell’insostituibile ricchezza dell’arte dello spettacolo nella cultura contemporanea.
Il 10 luglio John Irving interpreterà alcune sonate di Haydn sul fortepiano Jakesch (costruito nel 1823) di proprietà della Fondazione Cini. Jonathan Owen Clark, collega del celebre pianista al Trinity Laban Conservatoire of Music and Dance di Londra, introdurrà il pubblico all’ascolto delle relazioni fra danza e musica strumentale all’epoca di Haydn e Mozart. Queste esecuzioni permetteranno di considerare le problematiche del Novecento, discusse durante il convegno, sotto una luce diversa.
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