Come nelle favole: la figlia del re che s‘innamora del bel capitano della nazionale di pallamano, alto, biondo, discreto. Non poteva immaginarselo Juan Carlos I che proprio dal genero perfetto sarebbe arrivata la coltellata alle spalle che sta facendo agonizzare la monarchia spagnola, ridotta alla metaforica immagine del sovrano in stampelle, che, stenta, com’è successo giorni fa, a leggere un banale discorso davanti alla cupola militare.

Non che il resto della casa reale abbia mantenuto una condotta immacolata negli ultimi anni: faraonici e fedifraghi viaggi del monarca a caccia di elefanti in piena crisi e alla faccia dell’austerità imposta agli spagnoli; eredità nascoste al fisco, consulenze affidate a suon di milioni a platinate amanti tedesche.

Tuttavia, nulla sta scalfendo lo scudo borbonico più del cosiddetto scandalo Nóos, un giro di tangenti esploso nel 2010, che ha travolto il genero del re Iñaki Urdangarin e il suo socio Diego Torres. E che farà sedere al banco degli imputati l’infanta Cristina, secondogenita del re e moglie di Urdangarin, a cui vengono contestati i reati di frode fiscale e riciclaggio. Il prossimo 8 marzo (salvo che vada a buon fine il ricorso già annunciato dalla difesa) l’infanta dovrà giustificare davanti al giudice José Castro, il titolare dell’inchiesta, il suo atteggiamento condiscendente, «tipico di chi vuole guardare dall’altra parte», come ha scritto il magistrato in un passaggio delle 227 pagine che hanno motivato la seconda richiesta di imputazione (la prima risale allo scorso aprile, ma fu affossata dal Pm a seguito del ricorso dei legali).

Non totale estraneità, dunque, come vorrebbe la difesa dell’infanta – e come sembrerebbe suggerire il pubblico ministero – ma una diretta implicazione nella gestione fraudolenta di Urdangarin, che avrebbe utilizzato il nome della casa reale per ottenere circa 6 milioni di euro in cambio di patrocini, sponsorizzazioni e collaborazioni a vario titolo con i governi della Comunidad valenciana e delle isole Baleari, entrambi retti dal Partido popular. «Difficilmente – si legge, infatti, nel dossier del giudice – le frodi ai danni del fisco avrebbero potuto essere perpetrate senza, per lo meno, il conoscimento e l’accettazione di doña Cristina», la quale, in effetti, faceva parte del direttivo dell’istituto Nóos (una fondazione senza fini di lucro presieduta da Urdangarin e dedita all’organizzazione di eventi) e, riceveva aggiornamenti sull’attività illecita del marito, come dimostrerebbero le email messe a disposizione dei magitrati dall’ex socio Diego Torres negli scorsi mesi.

La casa reale, che ha parlato di un vero e proprio «martirio», ha fatto sapere che «accoglierà qualsiasi decisione della giustizia»; se Cristina di Borbone dovesse comparire davvero davanti al giudice Castro il prossimo 8 marzo, sarà la prima volta nella storia di Spagna che un membro della casa reale siederà al banco degli imputati. Ma sarà soprattutto un punto di non ritorno in un processo di rapida e irrefrenabile decadenza che ha – per ora solo metaforicamente – fatto scendere dal trono la famiglia reale, passata dall’essere un’istituzione di ampio consenso ad una delle più criticate, come dimostra, tra l’altro, la più grande manifestazione antimonarchica dell’era democratica convocata lo scorso settembre al grido di «Scacco al re».

Anche i numeri, d’altra parte lo confermano: secondo un recente sondaggio pubblicato dal quotidiano conservatore El Mundo, l’appoggio alla monarchia come forma di governo non raggiunge il 50%, mentre il 70% degli spagnoli giudica irreversibile il processo di deterioramento che sta erodendo la corona. Solo nel 2012, il consenso attorno alla monarchia raggiungeva il 60% e il 70% degli spagnoli confidava ancora nelle capacità di sua maestà di puntellare lo sfacelo. Ora, l’immagine di Juan Carlos, sopraffatto dagli anni e dagli eventi, non ispira più molta fiducia. Anche i meno radicali invocano per lo meno un’abdicazione a favore del principe Felipe, a cui però l’establishment guarda con giustificato timore.

Un passaggio di consegne in questo momento potrebbe creare una falla nella diga rappresentata dall’istituzione monarchica attraverso cui potrebbero irrompere, tra l’altro, le temute pressioni nazionaliste catalane e basche.