Un sogno bruscamente interrotto, un cuore infranto. E tanto, tantissimo caos. È un po’ questa l’estrema sintesi dei sentimenti che in questi giorni pervadono le strade del Marocco. Quelle perennemente affollate nelle città, da Fes ad Agadir: la Coppa d’Africa non si fa più, la colpa è dei timori legati alla diffusione di contagio del virus Ebola, che hanno scatenato incomprensioni, litigi e scelte categoriche tra le diverse istituzioni coinvolte: Ministero della Salute nazionale, Federcalcio locale e Caf, l’organizzazione calcistica continentale dell’Africa.

Insomma, quel mese di festa – in programma a partire dal 18 gennaio – ce lo si può anche scordare. La fame di calcio e di vita di un intero paese resterà quasi del tutto inappagata: niente più portata principale, ci si dovrà accontentare della seconda (e ultima, in Marocco) edizione consecutiva del Mondiale per Club, che prenderà il via a dicembre.

14 i paesi a rischio

Ma cos’è successo, davvero? Venti di tempesta si erano già respirati in passato, ma da Rabat la posizione è sempre sembrata netta e rassicurante: nessun problema – si è detto e ripetuto – tutte le competizioni internazionali in programma in Marocco si giocheranno. I fatti di questi giorni hanno invece fotografato un’altra realtà. Fatta essenzialmente di incertezze e comprensibili paure: le qualificazioni non sono ancora finite e i tre paesi in cui Ebola circola in veste ufficiale sono out: Sierra Leone e Guinea sono praticamente spacciate all’ultimo posto dei rispettivi gironi eliminatori, mentre la Liberia neanche è arrivata a giocarli. Ma l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che sono in tutto 14 i paesi a rischio contagio e, di fronte a circa 5 mila morti registrati e 15 mila potenziali, lo stato magrebino ha deciso di alzare le mani. Scatenando l’impietoso j’accuse dei vicini di casa, l’Algeria, i cui quotidiani nazionali hanno subito approfittato per sparare a zero su quella che viene definita una «figuraccia preannunciata», dato che Ebola c’entrerebbe poco nella decisione di abbandonare la competizione. Anzi, dicono sempre ad Algeri, è una maschera per nascondere i gravi problemi organizzativi con strutture e stadi ancora non pronti.

La “lunga mano” cinese

C’era da aspettarselo, ma grazie anche a importanti accordi con la Cina (che di anno in anno fa valere sempre di più la sua “lunga mano” economica in Africa). il Marocco non ha patito particolari problemi di infrastrutture: nuovi porti, rete ferroviaria, case popolari, fondi da riversare in opere come gli stadi… Tutto nel buon nome della cooperazione economica con Pechino.

foto di Stefano Fonsato
foto di Stefano Fonsato

Superstadio a Marrakesh

Undici mesi fa, di fronte a re Mohammed VI, è stato inaugurato il Grand Stade de Marrakech, impianto avveniristico, una cattedrale poco distante dal famoso Palmaraie in cui vanno a svernare i pensionati di mezza Europa. Un vero e proprio ingegno strutturale (anche se dalla discutibile e squadrata forma architettonica), tuttavia mal collegato: i taxi, unico mezzo di trasporto disponibile, portano fino a un certo punto, poi c’è da scarpinare per quasi tre chilometri su una strada senza marciapiedi, gremita di venditori ambulanti di cianfrusaglie e panini preparati con quello che c’è sottomano. Oltre a file di povera gente che allunga la mano per chiedere l’elemosina. Non un problema di stadi, quindi, ma un sistema che alla prima difficoltà si squaglia come un gelato al sole.
Problemi ce n’erano stati anche al mondiale nippocoreano del 2002: allora era la Sars a fare paura, ma lo svolgimento della competizione venne garantito senza problemi.

Una federazione debole

«Stavolta è mancata una corretta comunicazione – osserva Hamid Bichri, socio fondatore dell’Associazione di Solidarietà fra marocchini e presidente di Udami, l’Unione Democratica delle Associazioni dei Marocchini in Italia -. Inoltre il Marocco sconta la sua debolezza all’interno della Caf, dove la federazione marocchina non possiede nemmeno un seggio»

«Il Ministero della Salute ha chiesto un rinvio a data da destinarsi – aggiunge – per valutare al meglio le attuali e reali probabilità di contagio. Rinvio che però non è stato concesso dalla Caf (organo che si rimette in toto alle volontà del patron della Fifa, Joseph Blatter, ndr), dando così il “la” alla decisione tranchant di abbandonare l’organizzazione della Coppa a due mesi dal fischio d’inizio, con conseguente squalifica del Marocco dalla competizione».

Ma nel Maghreb le decisioni di punto in bianco non sono rare e le lunghe mediazioni alla ricerca di una soluzione non vanno per la maggiore. Cose che succedono, insomma.

Eppure «tra la gente c’è parecchia delusione – prosegue Bichri – Sono innumerevoli le incomprensioni: non si riesce a capire come mai le compagnie aeree francesi abbiano interrotto i loro viaggi nelle zone colpite dal virus mentre la Ram (la compagnia di bandiera marocchina, ndr) abbia proseguito con le sue tratte, salvo poi rilevare un rischio di contagio imminente. Per la rinuncia alla coppa c’è tanto sconforto, ed è comprensibile, tra albergatori, commercianti, tifosi…».

foto Stefano Fonsato
foto Stefano Fonsato

Il miraggio di Trapattoni

Già, i tifosi, che fino a meno di un anno fa coloravano la celebre Piazza Djamaa El Fna a Marrakech, addobbata con maxischermo, per seguire le imprese del Raja Casablanca, squadra per cui, lo scorso dicembre, tutto il Marocco faceva il tifo. Strade gremite di supporter locali che se la ridevano con quelli brasiliani dell’Atletico Mineiro. L’arrivo in città di Bayern Monaco, il miraggio (lo scorso aprile) di Giovanni Trapattoni sulla panchina della Nazionale e l’illusione con la Coppa di poter dare un’accelerata alla propria economia, senza dover per forza scappare da qualche parte in Europa.

Sogni ancora una volta da fare ad occhi aperti e rimandare – come si era provato invano a chiedere per la Coppa d’Africa – in data da destinarsi.