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Il mare rimosso della Basilicata

Il mare rimosso della BasilicataUn treno delle ferrovie regionali lucane

Reportage Il Porto degli Argonauti è stato scavato per 700 metri nella terraferma. Ospita 450 barche e un resort turistico. La spiaggia sta scomparendo e la costa cambia radicalmente fisionomia. A causa dei «pennelli» artificiali

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 6 agosto 2013
Luca MartinelliMarina di Pisticci

«Guarda lì». Pino indica le fiancate dei treni regionali, che qui in Basilicata sono foderati di pannelli pubblicitari. Ritraggono paesaggi lucani, di una “Basilicata da scoprire”. È una campagna di promozione turistica della Regione, «ma tutti gli scorci di mare che vedi ritraggono solo Maratea» continua Pino.
Eppure, come ha insegnato il cinema qualche anno fa, qui si può fare il coast to coast, e muovere dal Tirreno (da Maratea, appunto) per andare a scoprire la costa jonica: «Non ci sono panorami che ritraggono Metaponto, Scanzano Jonico, Policoro» conferma Pino.
È una sorta di rimozione collettiva: «Il Metapontino non esiste» conclude. Per capirne i motivi, bisogna arrivarci al mare “rimosso”. Dalla stazione Fs di Potenza, dove ho incontrato Pino Passarelli, sono 103 chilometri, che scorrono rapidi lungo la statale che attraversa la vallata del fiume Basento, passando dalla pareti rocciose delle Piccole dolomiti lucane ai calanchi che ispirarono la scrittura e la pittura di Carlo Levi.
La Basentana incrocia la Ss 106, e pochi chilometri dopo averla imboccata verso Reggio Calabria c’è lo svincolo per chi è diretto a Marina di Pisticci. L’uscita indica anche il Porto turistico. Che è il Porto degli Argonauti, cui dedicammo un lungo reportage su Altreconomia nel giugno 2010: «È come un’astronave calata da un altro pianeta sul Mar Jonio. Basta guardarla nella foto qui sotto per rendersi conto che, in questa struttura, niente sembra naturale: il porto, con l’annesso resort, occupa 92 ettari e le barche sono accolte in un canale scavato per 700 metri all’interno della terraferma. Gli Argonauti sono, per natura, diversi rispetto alla costa del metapontino, in provincia di Matera, che è per lo più selvaggia – la macchia mediterranea accarezza la sabbia, e arriva fin quasi al mare – e con poche infrastrutture turistiche. Dentro il porto, 450 ormeggi possono ospitare imbarcazioni lunghe fino a ventotto metri. Il problema, però, è nascosto dietro le barche, dove trovano posto un hotel con una piscina da 6 mila metri quadri, ville e appartamenti, case vacanza, la ricostruzione di un borgo».
Eravamo arrivati a Metaponto dopo che gli operatori turistici avevano occupato il municipio di Bernalda, di cui è frazione (siamo in provincia di Matera): a seguito della realizzazione del porto, la spiaggia stava letteralmente scomparendo sotto i loro piedi.
È stato in quell’occasione che conoscemmo Pino Passarelli, l’anima del comitato Sos Costa Jonica: la Costa Jonica lucana, poco più di trenta chilometri e due porti turistici (oltre agli Argonauti c’è, in territorio di Policoro, quello di Marinagri), che – mi spiegarono – non avrebbero dovuto esserci: «Per dare il là ai cantieri c’è voluta una variante al Piano paesistico del metapontino, deliberata della Giunta regionale nel luglio del 2003 – scrivemmo – “Ci hanno messo solo sei mesi a modificare il Piano” – aveva raccontato Gianni Palumbo, già animatore del Comitato contro la cementificazione delle Costa Jonica – “i due porti sono stati costruiti all’interno di zone Sic, Siti d’interesse comunitario, alle foci dei fiumi Basento e Agri. La scelta non è stata condivisa con il territorio”».
Torniamo quaggiù dopo tre anni, perché Sos Costa Jonica ha organizzato un convegno per parlare de “I porti e le spiagge”. Le fotografie che ricevo periodicamente da Metaponto documentano il cambiamento della linea di costa, con la spiaggia che sparisce nella zona sottoflutto, cioè dal lato di Taranto, a causa dei pennelli dei porti che frenano il flusso dei sedimenti, e cresce invece “lato Calabria”, ma sono niente rispetto alle parole dell’ex gestore del lido di Terzo Madonna, che negli ultimi anni ha visto sparire 150 metri di spiaggia, e nell’estate del 2013 terrà chiuso: «Dopo 25 anni che facevo questo lavoro», mi racconta fuori dalla Sala comunale di Scanzano Jonico, all’uscita dal convegno.
Dentro, avevo appena finito di intervistare il professor Franco Ortolani, ordinario di geologia all’Università Federico II di Napoli, che ha detto cose non tanto ovvie in questo lembo d’Italia. Ortolani ha spiegato che l’erosione costiera è un fenomeno naturale, ma che a «condizioni naturali» dovrebbe darsi nella misura di 1-1,5 metri all’anno. Le condizioni, però, mutano di fronte alla presenza di «elementi di perturbazione», quali possono essere considerati i “pennelli”, cioè i bracci a mare che proteggono i canali artificiali dei porti turistici. Secondo Ortolani, già prima di iniziare a costruire i porti degli Argonauti e di Marinagri questi effetti erano ampiamente prevedibili, e anche studiabili, attraverso modelli di spostamento dei sedimenti che il professore ha mostrato, applicati a numerosi porti turistici lungo le coste italiane. Per concludere, la risposta adottata dalla Regione Basilicata e dal Comune di Bernalda, che consiste in buona sostanza nel “ripascimento” della costa, cioè nel riportare la sabbia laddove serve ai gestori dei lidi, non è altro che uno “sversamento di sedimenti”, perché se quest’attività viene svolta in assenza di una adeguata pianificazione l’intervento può anche andare ad amplificare il problema.
Di fronte al pubblico di Scanzano Jonico, Ortolani ha anche fatto un calcolo relativo al danno economico legato all’erosione (un fenomeno che avrebbe potuto essere governato, o quanto meno limitato evitando la costruzione dei porti): «Un metro quadrato di spiaggia balneabile vale tra i 100 e i 2 mila euro l’anno, e misura tutte le fonti di reddito messe in moto dalla presenza di un turismo estivo. La perdita secca di 30mila metri quadrati di spiaggia balneabile, quello che accade ogni anno in Basilicata, considerando il valore di questa costa nella forbice più bassa, quindi 100 euro l’anno, è pari a un danno di 3 milioni di euro».
Il convegno – ha spiegato Pino Passarelli, nel suo intervento a nome di Sos Costa Jonica – «serve a noi, che siamo alla ricerca delle responsabilità. Questo è il nostro impegno, perché non si possono prendere i soldi e buttarli a mare». Il comitato è tornato a formulare le stesse domande cui non riceve risposta da anni, sempre le stesse: perché è stata autorizzata la realizzazione di quest’enorme infrastruttura – 92 ettari, in tutto – nonostante la Regione avesse ricevuto un parere contrario della Provincia di Matera? Un atto che sottolineava come «l’opera progettata […] intercetterà il flusso delle sabbie e sedimenti in genere, trasportati dalla corrente marina che da Sud ridistribuisce i materiali di trasporto fluviale verso il golfo di Taranto, con pregiudizio della stabilità delle dune di pregio ambientale e paesaggistico. I bracci da realizzare determineranno un accumulo di sedimenti verso Sud e conseguente erosione a Nord degli stessi e ciò contribuirà alla demolizione della spiaggia e della duna».
Un’altra domanda inevasa riguarda invece le fidejussioni bancarie che il costruttore – una società che si chiama Nettis Resort spa – avrebbe dovuto versare «per le eventuali trasformazioni che subiscono le spiagge a causa della realizzazione delle infrastrutture portuali». Avrebbe dovuto farlo «prima dell’inizio dei lavori, a garanzia del ripristino dello stato dei luoghi», ma non se ne trova traccia. È una richiesta che Sos Costa Jonica rivolge anche al senatore Filippo Bubbico, già presidente della Regione Basilicata e oggi viceministro dell’Interno, dopo esser stato nominato nel gruppo dei dieci saggi da Giorgio Napolitano. Troppo impegnato, cioè, per rispondere a una lettera aperta inviata da Sos Costa Jonica il 30 dicembre 2010.
Nel frattempo, l’estate del 2013 si è aperta con un giallo, legata a una richiesta avanzata dal Dipartimento infrastrutture della Regione Basilicata, che il 7 maggio 2013 ha chiesto al Comune di Pisticci, che confina con quello di Bernalda e sul cui territorio ricade il Porto degli Argonauti, la revoca di una ordinanza di divieto di circolazione su una strada comunale, per renderla accessibile agli «automezzi che verranno utilizzati dalla ditta che sarà chiamata a realizzare» un intervento di ripascimento «in somma urgenza» su «alcuni lidi della spiaggia del metapontino, per evitare che il danno ai gestori ed alla comunità per la stagione estiva possa diventare irreparabile». Grazie alla risposta positiva del Comune di Pisticci, l’8 maggio, i lavori di spostamento della sabbia, dalla zona sopraflutto (lato Policoro) a quella sottoflutto (lato Metaponto) del Porto degli Argonauti sono iniziati il 9 maggio. Ma i lavori veramente necessari, quelli sulla spiaggia di Metaponto Lido, sono iniziati il 26 giugno, ben 50 giorni dopo. Nel frattempo, un’amnesia collettiva garantisce la rimozione della costa jonica lucana. Che è fisica, e non avviene solo nell’immaginario.

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