«il manifesto c’è. Tutto è possibile» è lo slogan che abbiamo scelto per la nostra nuova campagna pubblicitaria che inizia il 29 novembre.

Una campagna multi-soggetto che avrà come protagonisti principali una donna, un immigrato e un «rider». Immersi in un contesto vagamente distopico, i nostri tre «eroi» leggono alcune  prime pagine del quotidiano in un gesto di determinata resistenza. Lo slogan è una citazione obliqua di altri più celebri slogan di movimento e un segnale di coraggio in tempi politici e culturali così feroci.

Dal 1971 siamo un granello di sabbia in questo gigantesco ingranaggio chiamato capitalismo. Un editore «puro» in un panorama informativo guastato da conflitti di interesse e monopolii di ogni tipo.

Il nostro è un richiamo al frantumato mondo della sinistra ma non solo. Una risposta chiara e ferma a chi vorrebbe chiudere i giornali (tutti i giornali, incluso il nostro) e un segno di speranza e di voglia di cambiamento (quello vero però) rivolto a voi, nostri attuali e potenziali lettori/lettrici.

Noi ci siamo. Al vostro fianco. A partire da «soggetti sociali» che più di altri subiscono la crisi e i suoi effetti: le donne innanzitutto e ovunque; i migranti; chi un lavoro ce l’ha, magari «precario», e chi lo sta cercando.

Realizzata qui in redazione da una «crew» nuova di zecca – i nostri Costanza Fraia, Giansandro Merli, Shendi Veli, Roberto Persia e Caterina Giordano -, la campagna sarà pubblicata fino a dicembre dal Corriere della Sera e dai suoi supplementi e dal settimanale Internazionale.

Il manifesto non è nuovo a campagne che graffiano l’immaginario. Poche ma buone. Con soggetti passati alla storia come «Vent’anni dalla parte del torto», «La rivoluzione non russa» e «Attenzione, su questo bus c’è un comunista» degli anni ’90 o le più recenti sul riacquisto della testata.

Era da tempo che non tornavamo a «comunicare» fuori dalle nostre pagine. Perciò siamo doppiamente lieti di questa «incursione» su altre testate.

Per la nostra cooperativa è un investimento economico importante e un gesto di fiducia nella carta stampata più in generale.

Una scommessa di comunicazione che «giriamo» anche ai nostri (troppo pochi) inserzionisti. La carta, canta.

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