Sabato di sole, vie prese d’assalto da gente felice di poter uscire. A un angolo di strada un signore mascherinato con logo Lega cerca di sedurre un passante dicendogli «C’è il vino delle nostre parti e pure il parmigiano reggiano». Oddio, penso, stanno promettendo un cesto di leccornie in cambio del voto? Mi fermo e prontamente una giovane donna mi dice «Ce la dà una firma?». E qui inizia un teatrino che svela la complicità necessaria fra sedotto e seduttore quando entrambi amano semplificare la complessa realtà.
La giovane donna mi porge un volantino con scritto «Difendiamo il made in Italy». Domando a che cosa aderirei di preciso. Lei annaspa, chiama il responsabile che prima pensa di placarmi mostrandomi la pagina che riguarda la privacy, poi dice: «Sa, la politica ormai è una questione di sensibilità. Noi siamo sensibili a difendere i cibi della nostra tradizione perché su, in Europa, decidono tutto loro e noi invece difendiamo il Dop». «E quindi firmerei per che cosa? Un nuovo progetto di legge?» insisto tignosa. «No no, una richiesta al governo di difendere i nostri prodotti e i nostri lavoratori. Ci serve solo la firma».

AH, FUMO NEGLI OCCHI,  informazioni raffazzonate, quanto siete amiche della propaganda con effetti speciali. Che poi, a guardarli bene, questi effetti si riducono, come ben documenta il sito leghista, al recupero di triti proverbi quali Buon vino fa buon sangue, Chi dorme non piglia pesci, Gallina vecchia fa buon brodo, Una ciliegia tira l’altra. Se questo è lo spirito dialettico che dovrebbe difendere il nostro agroalimentare, aiuto! Per il resto non c’è uno straccio di inchiesta, ricerca scientifica, dato, riferimento alle schifezze che farebbe l’Europa (che non assolvo a prescindere) e tanto meno proposte su che cosa dovrebbe fare l’Italia per difendere il proprio Dop. Insomma, se vuoi il mio consenso, dovresti anche spiegarmi come vorresti usarlo. Invece c’è solo un «Dacci la firma» in nome della campagna «Giù le mani dal made in Italy» e dell’urlo di battaglia  «Mangiacomeparli» che, detto dal loro capopolo, mi fa subito pensare a un gran mal di stomaco.

Se dovessimo augurarci di mangiare come parliamo, e non è detto che un gran numero di gente già non lo faccia, i prolissi diventerebbero obesi, i silenziosi anoressici, gli intorcinati sarebbero affetti da tremende gastriti, gli afasici da cali di pressione improvvisi, i tromboni da eritemi cutanei, gli analfabeti di ritorno da carenze nutritive, gli insultatori di scompensi cardiaci. Il linguaggio non è un’appendice qualsiasi, ma svela anche i retroterra di cui siamo fatti, curiosità e avarizie comprese. Mica basta avere il dono della favella per dire che la si sa usare e se come mangimo dice tanto di noi, come parliamo non è da meno. Qui bisogna ricordare agli emeriti sostenitori del  «Mangiacomeparli» che oggi è proprio quello che si mangia a creare seri problemi di salute al popolo italico, con buona pace della bulimia di reality food.

L’ITALIA ha un tasso di obesità infantile fra i più alti in Europa (siamo quarti dopo Cipro, Grecia e Spagna) e ce lo dice un’inchiesta del 2020 commissionata dal ministero della Salute. Il 20,4% dei nostri figli è sovrappeso, il 9,4% obeso di cui il 2,4% gravemente obeso. Fra le cause maggiori ci sono pasticci alimentari, una scarsissima attività fisica, troppa televisione (oltre il 44% dei bambini la guarda più di due ore al giorno). Molta responsabilità è dei genitori che non vedono l’effetto (l’obesità) e tanto meno le sue cause, a riprova di uno scollamento fra percezione e realtà.
Stiamo attenti ai facili slogan perché a furia di cercare consensi politici affidandoci solo a proverbi come siamo Buoni come il pane e Andiamo lisci come l’olio, rischiamo di finire tutti con gigantesche fette di prosciutto sugli occhi.

mariangela.mianiti@gmail.com